La nautica affonda con -33% nel 2011 Ucina e la Fiera impegnati per salvarla
E’ crollato il mercato interno mentre l’export delle grandi barche si è difeso (+9%) – Ma la rassegna è lo specchio dei timori degli italiani: meno pubblico e meno espositori

Lo staff di UCINA con le magliette dello slogan di questo salone: "Battiamo bandiera italiana" (le magliette però sono made in Honduras).
GENOVA – Ce l’hanno messa tutta sia il nuovo management dell’Ente Fiera sia i vertici dell’Ucina, sia infine quel che rimane di un mondo di espositori che nel passato anche recente strabordava anche fuori dal salone, fino ad aver invaso – solo pochi anni fa – l’intero piazzale Kennedy. Ce l’hanno messa anche con i fuochi artificiali la sera di sabato, l’accoglienza finalmente decente della città con “Genova in blu”, la promotion con paginate anche sui giornali meno probabili. Ma come dice il proverbio, il cavallo non beve: e il primo week-end di salone nautico è stato un bagno di sangue o quasi. Meno visitatori malgrado le giornate da record estivo regalate dal meteo. E naturalmente, meno espositori malgrado il presidente di Ucina Anton Francesco Albertoni si fosse sgolato per avere condizioni di favore (persino un credito agli espositori del Monte dei Paschi, per poter anticipare le spese del Salone).
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Nessuno ha voluto rilevarlo, ma per la prima volta c’è stato un intero padiglione vuoto, “mascherato” alla meglio da una sfilata di paninoteche. Quel che è peggio, il padiglione era quello dedicato ai gommoni, cioè la barca-simbolo della “middle-class” nautica italiana. E i motori fuoribordo sono stati raggruppati nel padiglione S insieme ai package con gli scafi. E negli spazi aperti, di solito affastellati, giravano in piena libertà le auto Jaguar dello sponsor di turno. Insomma, il mondo della nautica riflette il mondo dell’economia delle famiglie: che per la prima volta hanno fatto fatica persino a venire a guardare. Rimane un secondo week-end, e le speranze sono dure a morire. Ma.
Inaugurando il salone, un Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture e Trasporti teso come una corda di violino – l’hanno fatto arrivare via mare per evitare le contestazioni degli autisti dell’azienda trasporti urbani di Genova, inferociti davanti agli ingressi – non ha potuto che prendere atto della situazione, ricordando che la crisi è internazionale e che l’Italia non è tra i peggiori. Ha inghiottito in silenzio i dati della catastrofe sul mercato interno forniti da Albertoni: -33% nel 2011, a fronte di un +9% dell’export che però non cambia il quadro per l’utenza nazionale che è in ginocchio insieme ai tanti produttori incapaci di esportare. Ci sono – ha riconosciuto – 150 mila famiglie che lavorano nella nautica a rischio, con un fatturato che in quattro anni si è dimezzato nel comparto. Il ministro ha promesso quello che poteva: qualche briciola ai porti (132 milioni in complesso, di cui 62 a Savona, 50 a Genova e 12 a Gioia Tauro); la famosa e sospirata autonomia finanziaria per le Autorità Portuali che martedì (ieri. n.d.r.) sarebbe andata in commissione Senato; il riconoscimento che il “patto di stabilità” tanto criticato dalle istituzioni locali “è anacronistico e ingiusto, ma chi tiene i cordoni della borsa ha paura più di tutto che possa aumentare il debito pubblico”; infine la “pecetta” (che difficilmente produrrà qualcosa di concreto) per decreto che dedica alla nautica gli spazi inutilizzati nei porti commerciali (ma dove sono?) e che invece secondo il ministero potrebbe produrre 40 mila posti barca e 10 mila posti di lavoro.
Altra promessa: è in fase avanzata l’informatizzazione dei RID, ovvero dei registri delle imbarcazioni da diporto tenuti dalle Capitanerie, e dei registri delle patenti nautiche. Peccato che a successive domande agli stessi vertici delle Capitanerie ci sia stato risposto che se ne parla, ma in quanto a i risultati siamo ancora lontani.
In definitiva, un ministro stanco e teso in un ambiente stanco, teso e per certi aspetti disperato. C’è voluto – e ci vorrà ancora – l’impegno di Albertoni, della nuova presidente dell’Ente Fiera Sara Armella, dell’eternamente ottimista senatore Grillo (per la riforma della 84/94) e di tutto un mondo politico in cui la gente crede sempre meno. Finché la barca va. Ma quando anche la barca comincia a non andare più?
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In particolare, secondo i dati di “La Nautica in cifre”, presentati da Ucina e Monte dei Paschi di Siena, l’export ha rappresentato nel 2010 il 67% della produzione globale, per un valore di 1,61 miliardi in termini di produzione nazionale rispetto agli 1,16 miliardi destinati al mercato italiano. Nella ricerca BMPS, per i 5 distretti analizzati (Fano, Viareggio, Venezia, La Spezia e il polo Trieste/Gorizia) si registrano cifre analoghe in virtù di una propensione all’export che, nel periodo di osservazione (2005 – 2010), è andata progressivamente crescendo.
Secondo quanto analizzato dallo studio di UCINA, la produzione destinata alle vendite in Italia ha subito una significativa contrazione, passando dai 2,65 miliardi del 2008 – anno in cui essa superava quella rivolta ai mercati esteri che registravano un peso di 2,33 miliardi – agli 1,16 miliardi del 2010. Lo studio condotto dall’Associazione rileva, dunque, una sostanziale inversione delle quote di mercato tra Italia ed estero e testimonia che le più grandi aziende italiane hanno intrapreso la strada dell’internazionalizzazione. Tale tendenza è ancor più accentuata se si prende ad analisi il solo settore della cantieristica, dove la produzione nazionale rivolta all’estero nel 2010 è stata di 1,26 miliardi rispetto a 0,62 miliardi relativi all’Italia.
In controtendenza il segmento relativo ai superyacht, che evidenzia una tenuta del mercato interno, cresciuto di 1,3 punti percentuali rispetto al 2009, e che vede un bilancio in crescita a testimonianza dell’eccellenza del Made in Italy in questo sotto-comparto.
Inoltre, va segnalato un segno positivo per i settori degli accessori e dei motori che, avendo già scontato nel 2009 una forte riduzione di fatturato, hanno contenuto la discesa attorno al 5% contro il -20,9 % dell’intero comparto. Secondo quanto evidenziato dall’Ufficio Studi di UCINA, si tratta di un importante indicatore della ripresa della cantieristica, se si considera che i comparti degli accessori e dei motori sono in grado di anticiparne i trend.
In termini globali, nel 2010 la nautica da diporto ha registrato un fatturato complessivo di 3,36 miliardi di euro, ripartito nei segmenti della cantieristica (circa 2 miliardi), del refitting (0,17 miliardi), degli accessori (0,88 miliardi) e dei motori (0,30 miliardi).
La riduzione del numero di addetti diretti rispetto al 2009 è stata dell’11%, anche grazie al ricorso allo strumento della Cassa Integrazione che ha consentito alle aziende di non disperdere la manodopera specializzata, caratteristica essenziale dell’eccellenza della nautica italiana nel mondo, che continua a collocarsi al 5° posto dell’export nella classifica dei settori trainanti del Made in Italy.
Diverso e per molti versi complementare è stato il contributo di Banca Monte dei Paschi di Siena, che ha presentato un’analisi sui principali distretti industriali italiani attivi nel settore delle “Navi e Imbarcazioni”, comprensivo sia della nautica da diporto, sia delle costruzioni di navi e strutture galleggianti.
Giuseppe Alfano, dell’Area Research di Banca del Monte dei Paschi di Siena, nell’aprire il suo intervento ha dichiarato: “L’analisi della struttura dei conti aziendali delle società di capitale dei distretti esaminati evidenzia fondamentali di bilancio mediamente più favorevoli rispetto al comparto di riferimento, anche se nel confronto emergono tensioni relativamente maggiori in termini di condizioni di liquidità e di livelli di indebitamento finanziario. Inoltre, in base ai dati da noi elaborati, la nostra ricerca evidenzia come l’andamento del credito alle imprese manifatturiere nelle province di riferimento dei distretti mostri segnali di recupero.”
Secondo lo studio, i cinque distretti esaminati (Fano, La Spezia, Viareggio, Venezia e il polo Trieste/Gorizia) rappresentano nel loro complesso circa la metà della produzione dell’industria nazionale ma oltre i due terzi delle sue esportazioni, in virtù di una più accentuata propensione all’export.
Confrontando il contributo relativo di ciascun distretto al dato aggregato (somma dei cinque distretti), il polo regionale del Friuli detiene, nel 2010, le quote maggioritarie in termini sia di produzione (48%), sia di export (58%), grazie all’apporto determinante del sito di Monfalcone di Fincantieri. Incidenze rilevanti si registrano anche per i distretti di Viareggio (25% e 24%) e La Spezia (19% e 16%), mentre il peso relativo di Fano e Venezia è nettamente più contenuto.
Tranne nel caso di Viareggio, il leverage è sistematicamente più alto, principalmente per effetto del maggiore peso dell’indebitamento finanziario, piuttosto che per il livello di patrimonializzazione (in tre distretti su cinque superiore a quello dell’industria nazionale).
La capacità delle aziende distrettuali di fronteggiare lo stock del debito in termini economici è superiore al corrispondente dato nazionale, mentre in termini patrimoniali è invece più basso, con l’eccezione del polo regionale del Friuli.
Le condizioni di liquidità appaiono più problematiche rispetto all’industria nazionale di riferimento, con un ciclo del circolante in marcata tensione, salvo nei casi di Venezia e La Spezia.
La ricerca di BMps rileva infine segnali meno confortanti dal punto di vista della qualità del credito alle imprese nelle provincie di riferimento dei distretti considerati. Nell’arco degli ultimi 4 trimestri (marzo 2010 – marzo 2011), il tasso di decadimento annualizzato è calato soltanto in provincia di Pesaro Urbino, mentre in tutti gli altri casi è salito, con una punta massima registrato nel polo di La Spezia. Sempre a marzo 2011, si collocano al di sotto della media nazionale solo le due provincie di Trieste/Gorizia e Venezia.
A.F.
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