Gli acquari: inutili crudeltà?
Ci scrive un ormeggiatore-ambientalista del porto di Bari, F.B. con una lunga serie di considerazioni che dobbiamo riassumere:
Cara Gazzetta Marittima, leggo spesso sulle vostre colonne delle tante iniziative in atto, qualche volta più a parole che ad azioni concrete, per salvare il mare. E leggo che vi commuovete, come del resto mi commuovo io, quando ci raccontano che qualche delfino, o balena o altro animale marino viene ucciso da una nave o finisce spiaggiato. Mia figlia, che va alle scuole medie, mi ha messo in crisi qualche giorno fa proprio su questo tema, chiedendomi perché ci sono gli acquari, sia quelli di casa che quelli più grandi, dove teniamo chiusi in pochi spazi tante varietà di pesci condannati a nuotare avanti e indietro senza sosta. Non è una crudeltà inutile, solo per la curiosità della gente e per far guadagnare qualcuno? Ho provato a risponderle che in questo modo si favorisce la conoscenza di questi animali specie da parte dei giovani, ma non è stata molto convinta. Che posso dire di più?
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Saremmo tentati di rispondere a sua figlia non solo che ha ragione ma anche che dovrebbe proporre il paradosso della vignetta che pubblichiamo: paradosso, ovviamente. Ma se l’abbiamo trovata pubblicata su un giornale ambientalista Sud-americano è segno che il tema non lo pone solo la sua bambina.
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Il tema comunque è complesso, come sempre quando si parla di utilizzo degli animali. Che i pesci non parlino, almeno non parlino un linguaggio da noi percepibile, non significa che non soffrano. I cetacei addirittura cantano, oltre che parlare: e lo confermano studi recenti, che hanno registrato e decifrato i vocalizzi delle megateri e dei capodogli e delle balenottere, con propri dialetti di gruppo e di area. I vecchi balenieri immaginavano, come scriveva Melville in “Moby Dick”, il grido tellurico dell’agonia delle balene fiocinate.
Ma per tornare agli acquari, bisognerebbe distinguere. Alcuni sono davvero penosi, altri studiati con attenzione alle esigenze degli ospiti: che non hanno libertà, ma sono anche difesi dalla “legge della giungla” che regna in mare aperto, dove ogni animale può essere preda di un altro (e dell’uomo). Interrogarci sul valore della libertà perduta in cambio della sicurezza e di un cibo che arriva senza fatica ci porterebbe lontano.
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