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I terminalisti europei nella pandemia del Covid-19

Marco Conforti

GENOVA – Fra i relatori dell’attuale edizione di Port&Shipping Tech l’ingegner Marco Conforti, board member di Feport – l’associazione degli operatori terminalisti europei – vice presidente di Confetra e già per due mandati presidente di Assiterminal, ha accettato, subito dopo una riunione avuta con i membri europei, di aiutarci ad allargare lo sguardo oltre i nostri confini sugli impatti della pandemia sui traffici marittimi, ma anche a riflettere su impellenti e poco evidenziate necessità.

Ingegner Conforti, l’emergenza Covid come ha impattato a livello europeo sui traffici e qual è il mood attuale?

A livello europeo la categoria dei terminalisti si è dimostrata strategica per la sua capacità di interconnessione globale, ormai trentennale; anche il nostro governo ha riconosciuto essenziali i servizi logistici e di trasporto in tutti i Dpcm emessi così come nella valutazione prettamente normativa. I porti muovono, come è noto, il 90% delle merci del traffico mondiale.

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L’impatto Covid sui traffici marittimi internazionali era inevitabile e in Europa ha avuto, seppure con percentuali diverse e tempi diversi, quattro indici di riferimento. Il primo riguarda i volumi: scesi fino ad azzerarsi nelle crociere, segmento fermo per sei mesi che ora tenta di ripartire; con riduzione a due cifre fino al 50% nei ro-ro e bulk; fortunatamente un po’ in ripresa tra agosto e settembre nei traghetti con le isole (anziché in giugno/luglio, così come in tutta Europa) e, secondo la nostra stima, un -10% ad oggi nei containers con trend in risalita ed in linea con il traffico mondiale contenitori la cui ultima statistica di giugno era del -9%, anch’esso in risalita. Intanto osserviamo che Shanghai è già vicina a dei record e diverse nazioni hanno segni in ripresa sui volumi. Ma altre aree, come quelle delle Americhe, sono state più pesantemente colpite.

Il secondo indice riguarda i costi: sono esplosi e non poteva essere diversamente in una struttura che come il porto non può fermarsi, lavora H24 ed in ognuno dei 4 turni ridotti che si succedono ininterrottamente deve rispettare ex novo procedure di sanificazione di uffici, mezzi operativi, etc. per la sicurezza di tutti. Questa situazione rappresenta anche l’attuale grande preoccupazione.

C’è poi l’aspetto della programmabilità: parte delle compagnie navali attraverso un’attenta programmazione dell’offerta ha potuto alzare i noli e fare degli utili importanti con l’effetto però di un disequilibrio in tutta la filiera costituito da picchi di lavoro più intensi che si ribaltano anche sulle reti. Il fenomeno è ancora attivo e la programmabilità è dunque ridotta.

Infine l’ultimo punto: la reazione dei governi europei, molto diversa da paese a paese, sia come entità che come prontezza.

In Italia lo sconto dei canoni portuali, che rappresentano le voci principali dei terminal, resta ancora indefinito nelle modalità e in attesa dei decreti attuativi e, soprattutto, è limitato ad un 10%. Ma al di là della tempestività – che da noi in questo caso è mancata – secondo i dati in nostro possesso una percentuale dei paesi europei di poco inferiore al 50% ha usufruito di riduzioni sui canoni in misura diversa mentre per i restanti paesi si è preferito procedere con la temporanea sospensione.

Resta evidente che il solo differimento dei canoni unito ai timori del futuro, in considerazione delle percentuali negative dei vari traffici e delle riprese incerte o imprevedibili, rappresentano un grosso punto interrogativo.

Le infrastrutture: quali sono le urgenze da affrontare per essere pronti a supportare la ripartenza?

Due settimane fa è stato aperto il tunnel ferroviario di Monte Ceneri, cioè l’ultimo diaframma che separava la linea del Gottardo dalla Pianura Padana, rendendo così i porti del Nord assolutamente più vicini ai nostri mercati, ed è incredibile come questo fatto sia quasi passato in sordina. Con l’apertura del Ceneri di fatto i porti Nord europei arrivano in Padania con treni lunghi, pesanti e veloci; in pratica un enorme aspiratore dal Nord Europa è già pronto per risucchiare i nostri traffici a condizioni molto competitive mentre invece i nostri porti, soprattutto quelli dell’alto Tirreno ma anche quelli dell’Adriatico, che hanno treni corti, di poca capacità e vecchie linee, hanno tuttora date incerte di completamento lavori o addirittura nessuna data. Sia i porti che tutta l’industria italiana del Nord dipendono da questo corridoio, il Reno-Alpi, e solo qualche mese fa il commissario europeo Wojciechowski dichiarava che rispetto al collegamento dei porti italiani ai confini svizzeri si era ancora, nel 2020, allo stato di studio per stabilire quali opere fossero necessarie!

Il vero problema è l’approccio, ormai datato, del ragionare solo in termini di singole opere che invece non hanno senso se non sono collegate ad opere afferenti con un disegno strategico e con date certe di ultimazione lavori.

Quello della data certa di chiusura lavori è un tema non di poco conto.

Di esempi che non riportano date di prevista chiusura lavori ne abbiamo molti, solo per dirne un paio: il proseguimento della Pontremolese, il corridoio Scandinavo Mediterraneo..

Come può un operatore investire su dei mezzi che si capitalizzano in 25 anni senza sapere quali caratteristiche dovranno avere non potendo prevedere per quanto tempo farà treni da 400 metri o da 750? Da 900 tonnellate o da 2000? E il concetto vale per tutti i grandi investimenti necessari al nostro settore fino all’assunzione del personale. Le banche che devono finanziare gli imprenditori chiedono loro “documenti bancabili” che altro non sono che date certe ed impegni a non modificarle ad ogni cambio governo. È tutto il sistema che dovrebbe essere in grado di pensare e parlare, in questi termini, di opere e collegamenti. Noi siamo i primi a sostenere che i porti e le opere devono servire a colmare il gap logistico alle nostre imprese, non quelle portuali, ma quelle industriali e distributive. Ci sono 100 miliardi di euro in infrastrutture che non riusciamo a spendere con la conseguenza che oltre a privarci di quei 2- 3 punti di PIL provenienti dalla costruzione delle opere non riusciamo ad ottenere le ovvie positive ricadute sull’economia reale. Se non riusciremo a parlare di corridoi – e non di singole opere – e di “date bancabili”, non raggiungeremo mai niente di concreto.

Cinzia Garofoli

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Pubblicato il
23 Settembre 2020
Ultima modifica
25 Settembre 2020 - ora: 13:47

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