“Me too” e la portualità

Nell’immagine: La donna-diavolessa nell’iconografia di molte religioni.

Ci sembra giusto, in tempi di contestazione scatenata (e spesso prevaricatrice) contro il cosiddetto “patriarcato”, ospitare anche il lamento di questo lettore, che chiede di citare solo le iniziali A.A. secondo il quale queste campagne a furia di slogan e di sfilate sono assolutamente fuori tempo, specialmente nell’ambiente dei porti e della logistica. Riassumiamo la lunga amareggiata nota ricevuta sul web.

Direttore, mi meraviglia lo spazio che anche il vostro/nostro giornale dedica alle manifestazioni, spesso anche scomposte – delle suffragette di una supposta sudditanza della donna in una società maschilista, prevaricatrice, oppressiva e..chi più ne ha più ne metta di aggettivi. Io lavoro in un’agenzia marittima dove le donne sono più di noi maschietti, il capo è una donna e tra i nostri clienti e corrispondenti le donne hanno spesso compiti apicali. Se poi guardiamo al mondo, sia in Oriente che in Occidente le donne son spesso a capo dei governi, compresa l’Europa: e di imprese internazionali, di multinazionali, di centri di ricerca, persino di comandi militari e di navi e aerei da combattimento. Ma c’è proprio bisogno di togliersi i reggiseni e sventolare le puppe in piazza per chiedere diritti già abbondantemente ottenuti? E poi la campagna contro la violenza sulle donne? Perché: la violenza sui minori, sugli handicappati e più un generale le violenze su tutti gli esseri umani contano meno? In conclusione: non si rischia di far nascere un senso di rigetto verso troppe istanze demagogiche?

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