LIVORNO – Possiamo anche far finta di niente, come del resto sembra essere l’atteggiamento generale, almeno in chiave esteriore.
Però, se vogliamo entrare in questo campo minato, bisogna ammettere che non c’è mai stato periodo, nella storia della nostra portualità, in cui il tintinnar delle manette ha prevalso anche su quello delle portainers.
Il caso Genova è emblematico, ma solo perché ha fatto più clamore. Se guardiamo alle cronache, è facile ricordare che non c’è Port Authority – con rare eccezioni – dove non sia calata la spada di un rinvio a giudizio, se non di una condanna.
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Già, le condanne. Premesso che la magistratura non è infallibile, perché è fatta di uomini (e donne) che possono anche sbagliare, il trascorrere per anni e anni di giudizi, con i colpiti costretti a lavorare con quella spada di Damocle piantata sopra la testa, non è certo un segnale di efficienza. Ci sono – e lo sappiamo bene – presidenti, segretari generali e funzionari di AdSP che aspettano da anni – pur continuando a lavorare nei loro incarichi – di sapere se, quando e perché potrebbero essere condannati. Ci si chiede, in tutta serenità: è giustizia, questa?
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Poi c’è il fattore politico: dove si incrociano le incredibili rivelazioni dell’ex magistrato Palamara, le furibonde accuse tra partiti di utilizzare la magistratura come arma di parte, i frequenti richiami alla cinica definizione del fu-Andreotti secondo cui “le leggi si applicano per gli avversari ma si interpretano per gli amici”, le sospette accuse, anche solo su vaghe basi che “scoppiano” proprio alla vigilia delle tornate elettorali, eccetera.
Diciamo che la Giustizia, quella con la G maiuscola, con gli occhi bendati, la bilancia e la spada per imporsi, qualche colpo lo starebbe perdendo nella concezione generale di chi si arrabatta giorno per giorno, per rispettare le leggi fino a cercare di non prendere nemmeno un divieto di sosta…
(A.F.)