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INQUINAMENTO

Smog dalle navi: cosa non va, cosa fa ben sperare

Effetti ok sullo zolfo nelle zone tabù (Seca) ma anche più CO2 nell’aria

LIVORNO. Provare a “domare” l’inquinamento atmosferico causato dal trasporto marittimo attraverso mari e oceani è possibile. La riprova è nero su bianco nella seconda edizione del dossier sull’impatto ambientale del trasporto marittimo europeo, che è stata pubblicata in tandem dall’Agenzia europea per la sicurezza marittima (Emsa) e dall’Agenzia europea dell’ambiente (Eea): grazie principalmente al fatto che in Nord Europa sono state introdotte le “Seca”, le grandi zone di mare in cui lo “smog navale” è messo sotto controllo, negli ultimi dieci anni le emissioni di ossidi di zolfo sono diminuite nell’Unione Europea di «circa il 70%» (qui il link alla pagina che conduce al report delle due agenzie europee).

Adesso siamo in vista di un possibile balzo in avanti di questo ulteriore taglio allo “smog” delle navi: basti pensare che fra pochi giorni (1° maggio) entra in vigore una analoga “Seca” nel Mediterraneo e che per una grandissima zona dell’Oceano Atlantico nord orientale, dalla Groenlandia fino al Portogallo, qualcosa del genere dovrebbe arrivare da qui al 2027. Ma allargandosi ad abbracciare anche gli ossidi di azoto: già, perché non bisogna abbassare la guardia, e dunque guai dimenticare che nel frattempo proprio le emissioni di ossidi di azoto «sono aumentate in media del 10% tra il 2015 e il 2023» fino a raggiungere nel 2022 «il 39% delle emissioni di ossidi di azoto legate ai trasporti».

Ad esempio, il fatto che gli armatori si siano orientati su combustibili meno inquinanti e abbiano optato per il gas naturale liquefatti (gnl) è positivo ma, al tempo stesso, la relazione delle due agenzie europee indica che le emissioni di gas metano (CH4) sono «almeno raddoppiate tra il 2018 e il 2023» e adesso le navi sono arrivate a generare «il 26% delle emissioni totali di metano del settore dei trasporti».

È una “fotografia” che racconta come qualcosa si possa fare davvero: l’inquinamento non è un destino irreversibile. E questo, anche là dove emergono le ombre di un corrispondente aumento di altri tipi di emissioni, potrebbe lasciarci un qualche ottimismo perché abbiamo “imparato” che le aree “Seca” hanno un effetto positivo già nell’immediato: dunque, sappiamo che esiste uno strumento concreto, è gestibile senza aspettare che arrivi il migliore dei mondi possibili.

C’è da attendersi che le nuove aree “Seca” – nel Mediterraneo da giovedì prossimo e nell’Atlantico più avanti – contribuiscano a ridurre ulteriormente i livelli di ossidi di zolfo. Ed è significativo che si tratti di zone di mare che, per geografia, appartengono grossomodo all’Occidente industrializzato: a differenza dei negoziati sulle “Cop”, per ora non si è innescata la solita contrapposizione per cui i Paesi in via di sviluppo chiedono norme meno rigide per riuscire comunque a far decollare la propria economia e l’Occidente industrializzato si allinea al ribasso così da potersi impegnare meno sul fronte dei costi dell’anti-inquinamento.

Ma può essere un ottimismo soltanto a metà: il motivo lo mostrano il report di Xeneta, società danese di analisi, citato da “Port news”, la rivista on-line dell’Authority livornese (qui il link all’articolo): stavolta lo sguardo abbraccia l’intero pianeta e attesta che «nel 2024 le emissioni di anidride carbonica (CO2) prodotte dalle portacontainer sono aumentate del 14%». Hanno superato la soglia dei 240 milioni di tonnellate, un balzo in avanti rispetto l precedente primato, quello del 2021 (218,5 milioni di tonnellate). Colpa di cosa? Del fatto che la crisi del canale di Suez («a seguito dell’escalation del conflitto nel mar Rosso»)  – viene fatto rilevare – ha spinto molte flotte a dirottare le spedizioni via mare verso il Capo di Buona Speranza facendole cioè arrivare in Europa mediante la circumnavigazione dell’Africa. Perciò: rotte più lunghe ma anche aumento dei milioni di container trasportati (più 18%).

In particolare, la società danese fissa lo sguardo all’incremento di emissioni da parte delle navi di maggiori dimensioni: la fascia di portacontainer fra 14.500 e 20mila teu hanno visto aumentare le emissioni del 43% rispetto all’anno precedente. È in questo tipo di navi che risulta essersi riscontrato l’incremento più rilevante, ma anche le unità della taglia dimensionale superiore, le “megamax” oltre i 20mila teu, l’impennata non è affatto trascurabile (più 35% in un solo anno). Per capirci: la fascia di navi fra 8 e 12mila teu, cioè un quinto dell’intera flotta mondiale del settore, l’aumento è stato «dell’8% su base annuale».

Rischia di essere un altro paradosso del gigantismo delle flotte: punta su economie di scala sempre più grandi e spesso è finito nel mirino delle acute analisi di Sergio Bologna. Dito puntato contro un assetto harakiri dei trasporti su scala planetaria che finisce per spendere di più con l’illusione di risparmiare (perché magari un container, per arrivare a destinazione, viene movimentato sei-sette volte con inevitabili conseguenze sui costi).

Bisogna aggiungere anche un altro aspetto: lo smog che le navi generano durante la sosta in porto. Per far funzionare gli apparati di bordo devono tener accesi i motori così da generare elettricità. Il porto di Livorno, che già aveva sperimentato fra i primi l’elettrificazione sperimentale di una banchina (con la fornitura di energia da terra), ha in gestazione i progetti Pnrr per elettrificare una parte delle banchine a Livorno e a Piombino. E Grimaldi, uno dei principali clienti del porto labronico, rivendica di aver introdotto nella propria flotta navi che, fra batterie, idrodinamica e eco-apparecchiature, si prefigge di raggiungere lo standard di “zero emissioni in porto”. Resta il fatto che le banchine del porto passeggeri sono a 336 metri in linea d’aria dalle abitazioni vicino al monumento dei Quattro Mori o accanto alla sede Svs, idem per le case di scali delle Barchette dall’altro accosto e appena 226 metri fra gli appartamenti di via degli Ammazzatoi e i traghetti di Calata Carrara.

L’analisi riportata da “Port News” indica anche un altro genere di costi: quelli ambientali. Intanto, le caratteristiche costruttive delle navi sono tali che le nuove ultra-navi hanno proporzionalmente consumi energetici più alti. E comunque la minor efficienza è attestata anche da altri due tipi di problemi: 1) la velocità di navigazione (forse per compensare l’allungamento dei percorsi) è cresciuta nel 2024 di cinque punti percentuali con corrispondente maggior consumo di carburante; 2) peggior utilizzo della capacità di carico, cioè hanno trasportato meno merce di quanto avrebbero potuto trasportare).

La rivista dell’istituzione portuale labronica tira le somme e segnala «interrogativi e dubbi» sull’effettiva capacità dell’industria del trasporto marittimo di «raggiungere il Net-Zero entro il 2050». L’Imo – l’Onu del mare – ce la mette tutta per promuovere la decarbonizzazione del trasporto navale internazionale: nel prossimo autunno dovrà essere sottoposto a conferma il sistema vincolante che, da un lato, mette limiti alle emissioni e, dall’altro, fa pagare una penalità per chi emette più di quanto fissato. Tutt’altro che una soluzione gradita a tutti: sarà una delle controversie fondamentali dei prossimi mesi.

Fin qui abbiamo orientato l’attenzione sull’inquinamento atmosferico: bisognerà poi aprire la questione dell’uso di fonti di energia e carburanti alternativi («sarà necessario aumentare significativamente la produzione di alcuni possibili di essi per poter soddisfare la domanda potenziale»). Ma ritorniamo al dossier delle due agenzie europee per notare che «il trasporto marittimo contribuisce all’inquinamento delle acque attraverso fuoriuscite di petrolio e scarichi derivanti da cicli operativi delle navi, come le acque grigie, e gli scarichi di acqua dei sistemi di depurazione dei gas di scarico a ciclo aperto (Egcs), utilizzati per ridurre le emissioni di ossidi di zolfo (SOx) nell’atmosfera. Proprio qui si intuisce un primo contraccolpo creato dalle strategie dell’anti-smog: la depurazione dei gas di scarico rilasciando contaminanti nell’acqua con «lo scarico di acque grigie, dovuto in gran parte alle operazioni delle navi da crociera, ha registrato un aumento del 40% tra il 2014 e il 2023».

Non è tutto: l’euro-dossier calcola anche l’effetto negativo che l’andirivieni di navi ha sul «27% dei fondali marini europei vicini alla costa (il 5% dei quali è soggetto a gravi effetti)». A ciò si aggiunga che il trasporto marittimo è “colpevole” di aver introdotto in Europa la maggior parte di specie “aliene” provenienti da altri mari (60%) e, nella fattispecie, di specie esotiche invasive (56%).

Quanto al rischio che le navi travolgano animali marini, si stima che l’aumento delle frequenze dei transiti porti con sé «un notevole aumento dei rischi di collisione con gli animali nelle zone protette Natura 2000 in tutte le regioni marine dal 2017 al 2022».

Al tempo stesso, c’è anche qualcosa che si muove anche per il verso giusto. Ad esempio, nella gestione delle acque di zavorra: si è arrivati al 31% di navi certificate e al 23% di sistemi conformi nel 2023. In fatto di inquinamento acustico sottomarino, si sono riscontrati «livelli elevati di rumore sottomarino irradiato nella Manica, nello Stretto di Gibilterra, nel Mare Adriatico, nello Stretto dei Dardanelli e nel Mar Baltico»: il report europeo è ottimista riguardo agli effetti delle misure di mitigazione («potrebbero portare a una riduzione fino al 70% tra il 2030 e il 2050»). Infine, i rifiuti marini: in un contesto che vede il boom delle microplastiche in mare e la formazione di grandi “isole” oceaniche di immondizia sia nell’Atlantico che nel Pacifico – in realtà sono addensamenti di rifiuti al di sopra di una certa soglia di densità – i rifiuti marini prodotti dalla pesca (11,2%) e dal trasporto marittimo (1,8%) si sono «dimezzati nell’ultimo decennio».

Pubblicato il
26 Aprile 2025
di ROBERTO CREMONESI

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