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Come ti controllo i mari: le basi navali Usa nel mondio

Luca Bussotti

Controllare i mari, difendere la patria: le basi navali americane nel mondo

 

In uno studio risalente al 2002, il Center for Strategic Studies indicava due regioni prioritarie per la Marina americana nel mondo: il Golfo Persico e l’Asia; a seguire, vi era il resto del mondo, fra cui il Mediterraneo, che occupava (e continua a occupare) un’importanza strategica, ma in sottordine rispetto alle due aree di cui sopra.

Il controllo del pianeta mediante la presenza della Marina (e poi dell’aviazione) statunitense è antico, variabile, ma non per questo del tutto coerente. La presenza militare ha sempre seguito la strategia politica, che talvolta ha evidenziato clamorosi errori di valutazione, come si vedrà a proposito di un caso che ci riguarda da vicino, ossia la base navale di Napoli e la sua accresciuta importanza, dal 2005.

La storia dell’espansione marittima militare americana è antica. Salvo ciò che è accaduto in patria, all’estero la prima base fu aperta nel lontano 1903. Il nome è tutto un programma: Guantanamo, oggi maggiormente nota per ospitare uno dei più terribili stabilimenti carcerari del mondo, ma in realtà base navale americana su cui è stato poi edificato il noto carcere. Sono 117 chilometri quadrati di territorio cubano occupato, a cui il governo de L’Havana da anni si sta opponendo, reclamandone la restituzione, ma per il momento senza successo.

Guantanamo rappresenta una base fondamentale per controllare i Caraibi e l’America centro-meridionale, un territorio considerato il “giardino di casa”, da parte degli Stati Uniti. E tanto più importante se si pensa che, nel 2017, il distaccamento navale di São Paulo (Brasile), su richiesta di Brasília, è stato definitivamente chiuso, passando sotto il controllo della Marina brasiliana, salvo il goffo tentativo di Bolsonaro, nel 2019, di riaprire le trattative con Washington per una presenza marittima americana in loco, a cui lo stesso ministro della difesa del goveno di destra si oppose, facendo decadere immediatamente la questione.

Le strategie statunitensi in materia di controllo militare dei mari sono cambiate e si sono evolute col tempo, ma con una continuità di fondo: difendere la patria dalle minacce esterne, considerando, quindi, le basi navali all’estero come un prolungamento dello stato americano. Il grande sviluppo di basi navali si ebbe con la seconda guerra mondiale, e poi con la guerra fredda, in tutte le aree del pianeta; in funzione anti-sovietica prima, contro la lotta al terrorismo globale poi. In Giappone, per esempio, la base navale di Yokosuka, costruita nel 1870 col decisivo intervento francese, nel 1945 passò sotto il controllo della settima flotta americana, mantenuto fino a oggi. La base navale è stata completata con la maggiore base aerea di tutto il Pacifico, la Kadena Air Base, nota come la “Keystone of the Pacific”, che occupa circa 20mila persone, fra militari e civili.

Anche il Mediterraneo ha per anni occupato un ruolo centrale per la difesa navale americana, con la costante presenza della sesta flotta, concentrata principalmente in alcune isole strategiche per il controllo del gigante sovietico. È questo il caso della base navale di Sounda (Creta), controllata dalla Nato, mentre in Spagna la base situata presso la città di Rota (Navsta), nella provincia di Cadiz, racconta del tentativo di Francisco Franco di smarcarsi dall’isolamento che lo circondava, firmando, nel 1953, un accordo col governo americano per consentire l’utilizzo congiunto di questa base fra le marine dei due paesi. Un utilizzo che poi coinvolse anche i sottomarini americani in funzione di deterrenza anti-nucleare sovietica.

In mezzo al Mediterraneo, la base navale più importante, ancora oggi, è quella di Sigonella, in Sicilia, costruita nel 1957, inaugurata nel 1959, e considerata “the hub of the Mediterranean”. Dalla Naval Air Station (Nas) di Sigonella dipendono una quarantina di basi navali e attività militari statunitensi, anche se il comando ufficiale della base è affidato alla forza aerea italiana. Divenuta centrale dopo che, negli anni ’50, il governo americano decise di lasciare la propria base navale a Malta, è ricordata dai nostalgici dell’ “orgoglio italico” per la fermezza di Bettino Craxi, nel 1985, nel trattare uno spinoso caso col governo americano.

Insieme a Sigonella, la base navale di Napoli rappresenta un rilevante polo nelle strategie di controllo americano nel Sud Europa e in Africa. Costruita vicino all’aeroporto di Capodichino, la base napoletana è una Naval Support Activity (Nsa), gestita dalla Marina italiana. Creata all’inizio degli anni ’50, e poi completata, nel 1967, con un ospedale militare navale ad Agnano, spostato nel 2003 a Gricignano di Aversa, questa base, così come gran parte delle altre, navali e non, presenti in Italia, ha avuto il suo avallo grazie a un accordo bilaterale semplificato fra Roma e Washington datato 1954.

Come ricorda il tenente-colonnello dei carabinieri, Francesco Coletta, in un suo studio, grazie proprio alla procedura semplificata di questo accordo, quanto previstovi non ha l’obbligo della pubblicità, tanto che gran parte delle sue clausole sono ancora oggi coperte da segreto di stato. La base napoletana ha acquisito maggiore importanza dal 2005, quando il quartier generale delle forze navali statunitense in Europa (la sesta flotta) è passato dall’Atlantico Nord (Londra) al Mediterraneo (appunto, Napoli), nella convinzione (sic!) che, come scrisse a suo tempo Charlie Coon in una pubblicazione semi-ufficiale della Marina americana, l’ “Orso russo” non costituisse ormai più un problema in termini di sicurezza globale.

Un punto fermo per la strategia americana per il controllo dei mari è sempre stato il Golfo Persico. Oggi, una delle principali basi navali statunitensi si trova nel regno del Bahrain, dove è di stanza la quinta flotta. Ereditata dal Regno Unito al momento dell’indipendenza del piccolo stato arabo, nel 1971, la base ospita circa 8.300 persone che vi lavorano o dipendono da essa (i familiari dei militari americani) e nel 2010 è stata ampliata (per un investimento di circa 600 milioni di dollari), con tanto di costruzione di un nuovo bacino portuale. Oggi, la base controlla circa 2,5 milioni di miglia quadrate di aree marittime, andando dal Golfo Arabo a quello di Oman, di Aden, fino al Mar Rosso, compresi tre punti critici quali lo Stretto di Hormuz, il Canale di Suez e la punta meridionale dello Yemen.

Se il Golfo ha costituito un interesse costante per gli Stati Uniti, almeno sin dall’inizio degli anni Settanta, anche il continente africano, in periodi più recenti, ha iniziato ad attrarre l’attenzione di Washington, a causa della lotta globale al terrorismo e al traffico di droga. In Africa, gli Stati Uniti hanno due basi navali, una in Algeria e una, considerata prioritaria, a Gibuti, un piccolissimo paese di circa un milione di abitanti vicino all’Etiopia, che ospita basi militari di mezzo mondo, dalla Cina alla Francia. Quella americana (Campo Lemonnier) si trova in prossimità dell’aeroporto, ospita circa 4.500 militari, e serve per combattere i terroristi somali di Al Shabaab, la pirateria presente in loco, i traffici di droga e di altri materiali illegali. I francesi hanno una base con 5mila militari, mentre la Cina ha un’importante base navale, la prima all’estero, aperta nel 2017, così come l’Italia. Il nostro paese ha aperto la propria base navale nel 2013, intitolandola al piacentino Barone Amedeo Guillet, morto a 101 anni, uno degli ultimi a comandare un reparto italiano di cavalleria, e ricordato per le sue azioni militari in epoca fascista in terra eritrea, al comando di un numeroso e fedele battaglione di ascari.

A sud di Gibuti, gli Stati Uniti hanno affittato una base navale inglese presso Diego Garcia, un’isola in mezzo all’Oceano Indiano, ancora possedimento britannico, utile per aiutare a controllare, oltre al suddetto oceano, anche il Golfo Persico, che si conferma, quindi, la priorità assoluta di Washington. Nel Pacifico meridionale, l’unica base navale americana si trova in Australia, a Exmouth, nella parte occidentale del paese, mentre, per vigilare sul gigante cinese e sulle lune di Kim Jong-un, l’amministrazione americana ha il controllo di una base navale in Corea del Sud, presso Jinhae, provincia di Gyongsangnam-do. Inizialmente costruita nel 1946, la base di Chinhae è totalmente controllata dagli americani, e ospita circa 400 militari: non il massimo della sicurezza, visti i tempi che corrono nei rapporti fra le due principali potenze mondiali…

Luca Bussotti

(Luca Bussotti è africanista, docente universitario in Mozambico, Portogallo e Brasile, oltre a essere visiting professor in atenei italiani quali Milano e Macerata)

 

Pubblicato il
17 Aprile 2025
di LUCA BUSSOTTI

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