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L'INCHIESTA

La coca e gli affari criminali: il narcotraffico che vuol restare invisibile

Più che a comandare, ai clan interessa soprattutto non dare nell’occhio

LIVORNO. «La Toscana è la seconda regione in Italia per quantitativo di cocaina sequestrata dopo la Calabria: praticamente triplicata rispetto a dodici mesi prima. E il porto di Livorno ha fatto registrare il picco più alto dei sequestri rispetto agli ultimi dieci anni, secondo soltanto a quello di Gioia Tauro per cocaina sequestrata». L’ho scritto nell’inchiesta che ho fatto per “Il Tirreno”: erano gli inizi di questo decennio e in porto era arrivata l’ora di una sfilza di blitz antidroga in porto. Il più importante, un attimo prima che il mondo precipitasse nell’incubo dell’emergenza Covid: il 24 febbraio 2020, su una nave battente bandiera delle isole Marshall, in arrivo sulle banchine livornesi dalla Colombia, gli 007 del comando provinciale dei carabinieri scovano 3.330 chili di cocaina destinata al mercato francese (faranno finta di niente per riuscire a mettere le mani su tre persone a Marsiglia e arrestarle).

La frase d’apertura l’ho scritta io ma, lo confesso, le parole non sono mie. Le ho pescate dal “Quinto rapporto sui fenomeni corruttivi e di criminalità organizzata in Toscana”, dossier firmato in tandem da Regione e Scuola Normale Superiore di Pisa. Le ho ritrovate anche nel report di quell’anno della Direzione centrale servizi antidroga. Le ho ascoltate dall’allora procuratore capo Ettore Squillace Greco, magistrato che non a caso aveva alle spalle un curriculum da antimafia.

I panetti di cocaina sequestrati da Guardia di finanza e Agenzia Dogane

Questo maxi-carico sequestrato in un superblitz è un colpaccio una tantum? Non sembra: e non solo per l’elenco di cui sopra. Già allora, in almeno dieci relazioni delle ultime dodici, la Direzione nazionale antimafia indica la centralità del porto di Livorno nel sistema dei traffici illeciti più o meno made in Italy. Per dirla in altre parole: gli investigatori nella trincea anti-narcotraffico mettevano Livorno «al terzo posto nella classifica nazionale» fra gli scali verso i quali il fronte dell’antidroga (e dell’antimafia) vuol tenere gli occhi spalancati. C’è una sottolineatura della relazione della Direzione antimafia datata 2018 che rileva la «forte operatività della ’ndrangheta in rapporti con gruppi criminali locali d’appoggio». Erano in aumento rispetto al passato: il 17% delle operazioni in Toscana, quattro anni prima si arrivava a malapena all’8%. Non solo: qui i traffici illeciti sono di “rito” ‘ndranghetista, nel resto della Tiscana prevalentemente di ceppo camorrista.

Guai però a immaginarsi le cosche sull’uscio delle banchine a spadroneggiare. Al contrario: mica li vediamo per strada, a far smargiassate da guappi di periferia; ci fa semmai più paura lo spacciatore nordafricano sulla cantonata. L’ho chiamata l’ “infiltrazione soft”: se sono qui non è per espandere il controllo del territorio stringendolo alla gola, invece le cosche vanno a caccia di affari senza dare nell’occhio, se resti quanto più possibile sotto traccia non scateni la reazione della “macchina” repressiva.

«Qui da noi sulle banchine la ’ndrangheta fa di tutto per non farsi vedere. Che sappia io, non l’ho mai vista invitata nelle cene che contano, sempre che queste cene si facciano ancora qui a Livorno e le banchine non se le spartiscano a Milano o, ne sono più convinto, in un consiglio d’amministrazione a Londra o in uno studio d’affari a Hong Kong. Smettiamola di immaginarci Gomorra qui: ai criminali non interessa dettar legge in porto, vogliono infilarsi a fare i propri affari. Anche in porto, anche nel nostro porto: e io lo conosco bene, mi creda». Ho ripescato la confidenza di un tizio che a quelle cene e a quei conciliaboli c’era o tutt’al più era appena fuori dalla porta, e di certo non faceva quello con il vassoio delle tartine. A tavola semmai brodazze cinesi o turche, cibo sciapito tipo yankee: altro che cacciucco…

Lo dice anche l’analisi dell’équipe della Scuola Normale: «Non sono emersi elementi – si afferma – che facciano ipotizzare un radicamento organizzativo tradizionale delle mafie nazionali in Toscana, sebbene alcune criticità ambientali, aggravate dagli effetti economici della crisi sanitaria, possono creare nuove opportunità criminali per attività di riciclaggio e di imprenditorialità mafiosa, prodromiche di una presenza organizzativa più incisiva e penetrante».

Anche la rotta in partenza dall’Ecuador anziché dalla Colombia non è una novità: già il report dell’Antidroga datato 2024 indica che «la strada maestra utilizzata dai narcotrafficanti per invadere di cocaina colombiana il mercato europeo è costituita dalla “rotta europea” ovvero dalle linee marittime commerciali che dai porti ecuadoriani conducono verso i porti più importanti d’Europa: Anversa, Rotterdam, Amburgo, Le Havre, Algeciras, Valencia e Salonicco». Ok,  tra quelli italiani? In testa alla top ten delle preferenze c’è Gioia Tauro: «È sicuramente il porto preferito per il “transhipment” [trasbordo dei container da nave a nave senza uscire dal porto] finalizzato a convogliare lo stupefacente verso i mercati dell’Europa balcanica e orientale, al pari di Malta. Ma anche Livorno e Genova sono possibili destinazioni finali italiane dello stupefacente, tenuto conto delle connessioni commerciali dirette con il Paese sudamericano».

Non dimentichiamo che in un discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario, agli inizi di questo decennio il procuratore generale segnalò proprio Livorno come alternativa privilegiata in crescita rispetto a Gioia Tauro e Genova per l’import di stupefacenti dall’America Latina. Ma sempre badando a fare affari piuttosto che alla tentazione di  spadroneggiare e andare alla conquista del comando. Inabissarsi, dunque: del resto, non è un segreto che per il business dei narcotrafficanti bastano quattro-cinque container all’anno ed è più facile nasconderli in mezzo a 600-700mila a Livorno, il doppio a Genova o il quadruplo a Gioia Tauro.

Possiamo pensare che il nuovo maxi-sequestro di un container di cacao riempito di panetti di cocaina dipenda da un nuovo tentativo della criminalità organizzata di riaprire questo canale di smistamento della cocaina? Difficile dirlo, il compito che gli investigatori si sono dati sembra esser quello di mostrare ai narcotrafficanti che questo è un porto dove più alta è la probabilità di un sequestro. Come dire: i porti dove si sequestra più droga, detto un po’ grossolanamente, non è detto che siano quelli in cui si concentra il narcotraffico bensì quelli in cui la guardia degli investigatori è più alta. Quasi un’arma di deterrenza: se passate di qui, rischiate grosso…

A margine, vale la pena di segnalare che quest’ultimo maxi-sequestro è ingentissimo sì, ma il record di quasi tre tonnellate e mezzo di cocaina sequestrata nel febbraio 2020 in un sol colpo resta imbattuto. E’ una operazione che risale ai giorni in cui l’Italia precipitò nell’incubo dell’emergenza Covid. C’è qualcosa che però sta cambiando: in passato registrava un grosso sequestro ogni 8-10 mesi in media. Adesso la novità c’è, eccome: è il susseguirsi di questi blitz antidroga, uno dopo l’altro. Eccone una lista, senza pensare di esserseli ricordati tutti: in pochi mesi si contano numerosi grossi sequestri di sostanze stupefacenti.

  • Gennaio 2025: 217 chili di cocaina sbarcati in Darsena Toscana a una nave in arrivo dal Cile, considerata un nuovo polo logistico per i trafficanti che intendono far giungere in Europa gli stupefacenti prodotti in Colombia o anche Bolivia e Perù.
  • Dicembre 2024: un pentito, ex affiliato alla cosca ‘ndranghetista Molè, rivela alla direzione distrettuale antimafia che narcos albanesi in tandem con le cosche italiane, ‘ndrangheta in primis, utilizzano vari porti, compreso quello di Livorno, per inviare carichi di cocaina, decine di chili ogni volta, nascondendoli dentro container di banane o comunque frutta, che poi venivano recuperati grazie a sistemi gps. Il porto di partenza era quasi sempre Guayaquil, in Ecuador, sull’Oceano Pacifico.
  • Novembre 2024: per aver recuperato 53 chili di cocaina da un container sbarcato in Darsena Toscana dal porto ecuadoriano di Guayaquil, nell’Oceano Pacifico una condanna e due patteggiamenti, avevano recuperato 53 chili di coca. Pochi giorni prima, i finanzieri arrestano 29 persone in una operazione che interessa anche il porto di Livorno e porta al sequestro di due tonnellate di cocaina, 45 chilogrammi di hashish e venti di marijuana, valore di mercato attorno ai 70 milioni di euro
  • Ottobre 2024: li hanno beccati mentre di notte si erano infilati in porto per recuperare 40 chili di cocaina nascosta in un container spedito dal Sudamerica, valore 3 milioni di euro.
  • Agosto 2024: tre corrieri sono stati beccati dai finanzieri mentre con grossi borsoni tentavano di portare fuori dalla Darsena Toscana un quintale e mezzo di cocaina (139 panetti).
  • Maggio 2024: una sessantina di chili di cocaina suddivisi in 52 confezioni sono stati sequestrati i un container di banane dal personale di Agenzia Dogane e Guardia di finanza.

Mauro Zucchelli

 

Pubblicato il
9 Aprile 2025
di MAURO ZUCCHELLI

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