Multinazionali straniere: in Toscana valgono il 18% della ricchezza
Quasi 95mila addetti e 45 miliardi di fatturato
FIRENZE. Ha nelle arterie della proprietà il “sangue” finanziario di capitali con targa estera: in Toscana sono 3.524 le sedi di imprese con questo dna. Al sesto posto fra le regioni italiane: alle spalle di Lombardia, Piemonte e Veneto ma anche Emilia Romagna e Lazio, comunque mica poche: rimangono però tutt’al più una su cento (lo 0,7% nell’industria, la percentuale cresce di quasi due volte e mezzo se si guarda ai servizi).
La loro rilevanza però aumenta molto se il “metro” per misurarle diventa l’occupazione o il, valore aggiunto, cioè sostanzialmente la ricchezza prodotta. In testa alla classifica dei principali paesi investitori troviamo che da sole Francia, Stati Uniti e Germania assommano ben più della metà (58%) dei lavoratori alle dipendenze di imprese a capitale estero presenti dalla Cisa al fosso del Chiarone.
Dal punto di vista della creazione di posti di lavoro: le multinazionali a capitale estero totalizzano quasi 95mila addetti, che cumulano un monte-bustepaga equivalente a quasi 3,7 miliardi di euro all’anno (con i vari oneri a carico delle aziende il costo del lavoro supera quota cinque miliardi). In Toscana la media della retribuzione per ciascun dipendente di questa galassia di aziende straniere sfiora i 39mila euro annui: superata solo in Lombardia e nel Lazio, e allo stesso livello di quelle trentine-suditirolesi.

Questo, così come gli altri grafici più avanti, sono tratti da un report di Confindustria Toscana dal titolo “Le imprese toscane a capitale estero”
E’ ancor più significativo il valore aggiunto: 12,3 miliardi di euro. Rappresenta il 18% dell’insieme della ricchezza prodotta dal sistema economico regionale. Con un fatturato che arriva ai 45,2 miliardi, il valore aggiunta vale una fetta del 27,2%. Quasi cinque punti in più in raffronto a quel che avviene nelle multinazionali italiane (che hanno anche una bustapaga-tipo che è in media di 3mila euro inferiore a quella di multinazionali estere).
Merita qui di essere sottolineato un doppio aspetto. Da un lato, lo standard del valore aggiunto prodotto per ciascun occupato (in Toscana arriva a un passo dalla soglia dei 130mila euro a testa): non ha eguali in nessun’altra regione, nemmeno in quelle a forte industrializzazione; unica eccezione la Sicilia, che però fa caso a sé con i petrolchimici. Dall’altro: la percentuale del valore aggiunto rispetto al fatturato arriva in Toscana al 27,2%, e anche questo è un livello al di sopra di tutte le altre realtà regionali (eccettuata la Val d’Aosta, che è ancor più una situazione a sé stante).
La “radiografia” a suon di cifre l’abbiamo fatta guardando a un recente dossier di Confindustria Toscana e ai dati pubblicati appena prima di Natale dall’Istat. Riguarda il 2022 ma sono gli ultimi dati disponibili.
Uno spicchio di questa galassia di multinazionali a capitale straniero è data da quelle attive nel settore in industriale. Guardando ai numeri nudi e crudi, non più di 600 di esse appartengono all’industria. Fra le imprese estere, dunque, solo una su sei (17%): ma costituiscono non molto meno della metà (41%) dell’occupazione in aziende a capitale estero e la metà esatta (50%) del loro fatturato.
Negli ultimi anni – viene fatto rilevare dall’indagine confindustriale – queste imprese hanno «rafforzato il loro posizionamento, con un aumento di oltre 10mila addetti dal 2017 e una ripresa significativa di fatturato e valore aggiunto nel 2022. La loro forte penetrazione nei mercati internazionali ha avuto un effetto positivo anche sulle aziende locali».
Il report confindustriale mette in guardia riguardo alla «debolezza del capitale umano»: in Toscana «rappresenta un elemento di criticità importante che si lega sia ad aspetti demografici che strutturali».
Dito puntato contro la formazione: rimane «ancora uno degli aspetti più critici del nostro territorio», dice l’analisi dei ricercatori dell’organizzazione degli industriali. A riprova si cita l’ “indice di competitività regionale” (Rci) prodotto periodicamente dalla Commissione europea: si tratta del “Regional Competitiveness Index”, che viene modellato sull’esempio del “Global Competitiveness Index” introdotto dal World Economic Forum per «misurare i punti di forza e debolezza di 234 regioni dell’Unione Europea» e lo fa sulla base di una griglia di «68 indicatori che spaziano dalla misurazione delle infrastrutture, delle istituzioni, della qualità del capitale umano e dell’innovazione».
Proprio riguardo al capitale umano, l’ultima edizione del “Regional Competitiveness Index” evidenzia «un livello generale ancora troppo basso. Per dirne una: l’incidenza dei laureati è «molto contenuta» nella fascia d’età fra 25 e 34 anni. Noi spesso pensiamo che forse ci sono troppi laureati, non è vero? Ebbene, quanto a laureati per l’indice di competitività la Toscana è in zona retrocessione: siamo in 206° posizione su 234 regioni analizzate. E qui si aprirebbe tutta la discussione su cosa c’è dentro quelle lauree o comunque quei percorsi scolastici: ma questa è già un’altra storia.
Mauro Zucchelli