I segreti delle criptovalute sotto la lente della Normale
L’algoritmo che gestisce i flussi e i “vasi di miele” per attirare gli investitori
PISA. Capita che gli investitori assomiglino a Pinocchio che vuol convincersi della possibilità che il “campo dei miracoli” gli moltiplichi i quattrini senza far nulla. Ma il paragone più calzante, in questo caso, è il simpatico orsetto Winnie the Pooh: per un buon barattolo di miele è disposto a perdere la testa. È quel che salta fuori da un’indagine condotta da una équipe della Scuola Normale Superiore di Pisa in tandem con l’Università di Bologna alza il velo sugli ingranaggi (e sulle trappole che nascondono) i mercati delle criptovalute all’insegna della finanza decentralizzata: in cui cioè sono direttamente gli utenti a effettuare gli scambi senza che né banche né organismi di finanza vecchio stampo siano incaricati di compiere l’intermediazione.
Sotto esame più di 17mila nuove criptovalute (“token”) che su Uniswap, una delle più rilevanti realtà di finanza decentralizzata (che però non c’entra), sono saltate fuori come funghi nello scorso trimestre autunnale, cioè nel periodo tra ottobre e dicembre 2024.

La Scuola Normale Superiore: la sede è a Pisa in piazza dei Cavalieri
A tuffarsi in questo “mare di monete”, com’è stato chiamato dai ricercatori, sono stati il professor Fabrizio Lillo (in servizio alla Normale pisana e all’ateneo felsineo) insieme a due postdoc come Manuel Naviglio (Scuola Normale) e Francesco Tarantelli (università di Bologna): uno studio che ha fatto rumore se è vero chea quest’inchiesta il quotidiano confindustriale ha dedicato spazio in prima pagina e un corposo approfondimento interno, svelando che “così l’algoritmo altera le cripto”.
Presentando la ricerca, dal quartier generale dell’istituzione universitaria d’eccellenza si sottolinea che «a uno sguardo superficiale, il comportamento di questi “token” può apparire lineare: un’impennata iniziale del prezzo seguita da un crollo». Vista dall’esterno, questa dinamica può far credere che vi siano «opportunità di guadagni rapidi e facili».
Il quotidiano economico milanese sottolinea, con le parole dei ricercatori, che «all’inizio e spesso in scia all’operatività di robot trader, il prezzo dei token cresce molto», salvo però poco tempo più tardi diminuire. In concreto: il 58,2% dei “token” perde valore prima dei 60 swap – si afferma – mentre il «90,6% dei medesimi decade prima che si concretizzino 500 swap». Come dire: partenza sprint seguita da brusca inversione di tendenza. Peraltro, per gli esperti potrebbe esserci la possibilità di guadagni interessanti: basti dire che con questa strategia del compra e vendi dopo il boom la plusvalenza potrebbe raggiungere il 1.556%.
È un po’ più complicata di così e ci vorrebbero «competenze avanzate in ambito matematico e computazionale» per decifrare cosa accade davvero. Ad esempio, al centro dell’indagine figura «l’analisi approfondita degli “smart contract”, i programmi che governano la vita dei token». I ricercatori hanno rilevato che «in numerosissimi casi, questi contratti nascondono clausole invisibili all’occhio inesperto che impediscono agli investitori di rivendere ciò che hanno acquistato, rendendo il “token” privo di valore». Eccoli lì gli “honeypot”, cioè i “vasi di miele” che «promettono guadagni e celano trappole».
Le cose non vanno come si potrebbe immaginare, e in questo non c’è niente che sia imputabile alla gestione che della piattaforma fa Uniswap, ripetiamo. Secondo quanto riporta il “Sole”, l’équipe Normale-Bologna segnala che negli “smart contract” figurano non di rado clausole che impediscono la vendita, perlomeno prima di un certo momento. Anche a un addetto ai lavori – viene indicato – è facile che sfugga una clausola del genere perché «è scritta in un codice informatico» e comunque non di facile interpretazione.
Gli studiosi spiegano sul “Sole” una serie di mosse e contromosse che valgono come “trucchi”: ad esempio per far salire le quotazioni, salvo poi rendere la tal moneta digitale senza più mercato e non più rivendibile: è chi l’ha creata che si porta a casa i soldi.
Altri espedienti servono, grazie a robot ultraveloci, per infilarsi nei tempi tecnici delle transazioni e lucrare sul rialzo di quotazioni spinte verso l’alto da acquisti in effetti già compiuti: l’hanno chiamato “attacco sandwich”. Praticamente a tappeto, se è vero che, come dicono gli studiosi, «abbiamo calcolato che il 90% dei “token” vendibili e il 68% dei “vasetti di miele” sono stati colpiti da almeno un attacco sandwich».
Dalla Scuola Normale ripetono che «i dati emersi sono inequivocabili»: il «90% dei “token” scambiabili» e «oltre due terzi dei “vasetti di miele” analizzati» sono stati «vittime di almeno una forma di manipolazione». Di nuovo viene ribadito che Uniswap non c’entra, ma per «i rischi strutturali di questo ecosistema», – viene ribadito – c’è l’urgenza di «dotarsi di strumenti analitici all’avanguardia e di un quadro regolatorio trasparente, a tutela degli utenti e della credibilità dei mercati decentralizzati».