La Cina controlla 78 porti africani (su 231): monopolio dei traffici verso Sud
Pechino “conquista” uno scalo su tre, soprattutto nella parte occidentale

Il porto di Maputo (Mozambico)
Sono 78 i porti “cinesi” in Africa, suddivisi in 32 paesi, dei 231 totali, in qualche modo controllati dalla Cina, mediante concessioni di banchine, entrata nella proprietà, presenza di basi militari navali. La maggioranza degli scali a influenza cinese (35) si è concentrata nella parte occidentale del continente, mentre 17 si trovano in Africa Orientale, 15 nella parte meridionale e 11 in Nord Africa, nel Mediterraneo. È quanto emerge da uno studio pubblicato pochi giorni fa dall’Africa Center for Strategic Studies, profilando una sorta di monopolio di Pechino nel continente africano rispetto alla partita della portualità e dei relativi corridoi. Basti pensare che in Asia i porti sotto il controllo cinese sono appena 24, in America Latina e Caraibi una decina. La scelta africana cinese, quindi, deve ritenersi strategica, parte integrante della “Go Out Strategy”, il cui frutto più noto è la “One Belt One Road Initiative”.
La “Go Out Strategy”, nota anche come “Go Global”, ha l’obiettivo di catturare nuovi mercati emergenti in varie parti del mondo, attraverso aiuti finanziari cospicui nei confronti delle imprese pubbliche che intendano avventurarsi in tali aree geografiche. Di cui, appunto, l’Africa rappresenta quella privilegiata.
Il “Go Global” ha trovato espressione anche nell’ultimo piano quinquennale di sviluppo (2021-2025), che prevede l’implementazione di sei corridoi a livello mondiale, di cui tre in Africa: uno che attraversa l’Africa Orientale (Kenya e Tanzania), un altro l’Egitto e Suez, l’ultimo la Tunisia. Obiettivo finale: far diventare la Cina una potenza marittima mondiale, anche sfruttando i porti “amici” per scopi militari.
Attualmente sono 10 gli scali africani che associano funzioni commerciali con quelle militari, fra cui due in Africa del Sud (Durban e Simon’s Town), uno in Mozambico (Maputo), uno nella Repubblica del Congo (Pointe-Noire) e uno in Marocco (Casablanca). Tuttavia, sono stati 36 i porti africani che hanno ospitato esercitazioni militari cinesi, mentre in tre scali (in Camerun, Nigeria e Togo) la percentuale di controllo da parte di imprese statali cinesi è della meta del capitale sociale. In altri casi, imprese cinesi non sono entrate nel capitale della società proprietaria dello scalo, ma sono riuscite a ottenere concessioni di lungo periodo. In Egitto, per esempio, l’impresa pubblica cinese Hutchison Ports ha avuto una concessione di 38 anni da parte della marina militare del Cairo per operare in un terminal presso l’Abu Qir Naval Base.
Se, quindi, Ue e Usa stanno scommettendo su un corridoio come quello di Lobito, la Cina non sta a guardare: anzi, la fitta rete di punti strategici e corridoi commerciali, rafforzati da una presenza militare navale discreta ma in continua ascesa rivelano quanto importante sia l’Africa per la sua strategia generale di sviluppo. Lo spettacolo è appena iniziato…
Luca Bussotti