Chiunque abbia a che fare con una pratica pubblica, prima o poi arriva a maledire le lungaggini, le complicazioni, spesso i rimpalli di competenze tra uffici ed enti dello stesso Stato. Ne abbiamo scritto spesso. E il lettore Ettore F. ci rimprovera perché non ci spariamo sopra abbastanza…
Anche sulle vostre pagine leggo spesso critiche alla burocrazia, ma non andate mai a fondo nel prendere di petto i burocrati più noti. Possibile che non si riesca, anche con le tecnologie d’oggi, a snellire e sburocratizzare?
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Il lettore è chiaramente in crisi di “burocratite acuta”: deve aver fatto qualche pratica che l’ha mandato fuori dai gangheri, e lo comprendiamo. Detto questo, ci tocca disilluderlo: le regole fanno parte dell’ordinamento di ogni società e la loro pratica applicazione è devoluta a funzionari che a volte se la prendono comoda, ma più spesso sono anch’essi ingabbiati da incroci di competenze, poca chiarezza delle norme e responsabilità anche penali per una virgola sbagliata. La tecnologia è uno strumento, sempre più evoluto: ma alla fine c’è sempre la responsabilità di un uomo (o donna).
Per consolarci, se è possibile, riportiamo un brano del professor Sergio Bologna sull’interessante sito AIOM degli imprenditori triestini, dove racconta degli sforzi degli Asburgo per popolare l’appena nata Trieste. Nel 1719 si cominciò a fare norme per favorire l’arrivo di gruppi con capacità imprenditoriali e commerciali, in particolare ebrei. Ma ancora nel 1777 l’imperatore Giuseppe, figlio della grande Maria Teresa d’Austria, scriveva che le sue leggi per favorire l’arrivo degli ebrei e la tolleranza religiosa (ed erano tempi d’assolutismo!) venivano ritardate o disapplicate dai burocrati di Stato. Come riporta il professor Bologna nel suo pregevole studio:
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