GENOVA – I rischi che incombono sul traffico mondiale via mare, hanno una potenzialità devastante per l’assetto geopolitico del pianeta e per la capacità di innescare reazioni a catena nel campo dell’approvvigionamento di cereali, soia, riso e prodotti agroalimentari per popolazioni che non possono farne a meno, nonché nella fornitura di energia.
Questa la principale indicazione scaturita da un’assemblea di Assagenti Genova che ha evidenziato una drammatica sottovalutazione delle soglie di pericolo legate alla possibile chiusura di due o più choke point, ovvero le strozzature strategiche attraverso le quali transita più dell’80% del traffico marittimo di merci, materie prime e prodotti finiti: Suez e Panama.
“Con Suez di fatto aperto solo al traffico delle navi che raggiungono Gedda e i porti della costa occidentale della penisola saudita – ha sottolineato Paolo Pessina, presidente dell’Associazione genovese degli agenti e dei raccomandatari marittimi – anche solo un’altra crisi in stretti strategici come quello di Hormuz attraverso il quale transita il 20% del petrolio del mondo, oppure dello stretto di Malacca, vitale per i traffici da e per la Cina e per il subcontinente asiatico, l’economia mondiale rischierebbe di collassare con un salto nel vuoto per interi Paesi se non per interi continenti”.
I dati relativi alla strategicità dei choke point e alle conseguenze che un loro blocco provocherebbe, e non solo ai traffici marittimi, sono state evidenziate in uno studio che il Centro Giuseppe Bono ha elaborato per Assagenti e che è stato presentato dall’ammiraglio Sergio Biraghi. Uno scenario catastrofale quello delineato? No. Uno scenario frutto della crisi di quei vasi non comunicanti fra mondo marittimo ed economia globale.