Chi ci scrive si definisce un “frequent flyer”, ovvero uno che vola spesso. E francamente non gli si può dar torto se lamenta non solo l’aumento dei prezzi dei biglietti nei periodi di maggior richiesta, ma anche la scarsa disponibilità, nelle aree di attesa dei passeggeri, di spazi adatti per quando le attese si prolungano. Ecco la mail di Paolo d.R. da Civitavecchia.
“Capisco che un tempo volare fosse più semplice anche per le compagnie: e fosse anche più semplice coccolare chi volava, perchè eravamo in meno, quasi sempre gente d’affari e imprenditori. Però a tutto c’è un limite: la speculazione sui costi dei posti (chi deve prenotare all’ultimo momento qualche volta paga il doppio) e la scomodità delle poltroncine d’attesa prima del check-in. E mi fermo qui. Non mi risulta che le compagnie aeree siano sull’orlo del fallimento, salvo forse la nostra disgraziata ITA…”
Quando eravamo anche noi “frequent flyer” – e non c’è mancato nessuno dei continenti, compresi scali allora abbastanza atipici come Anchorage in Alaska e Port Moresby in Nuova Guinea – effettivamente si volava bene, coccolati e assistiti anche durante le soste. Per quello che mi riguarda, riuscii persino a portarmi in aereo dalla Bolivia un cranio di jakarè di quasi un metro, con l’unico commento (disgustato) alla frontiera canadese di un addetto che mi fece passare sospirando: “Ah, vous italien…!” Oggi tutto è frenetico e in compenso le lunghe soste di attesa sugli scali sono dovute più che altro a tensioni internazionali – o peggio – che trent’anni fa non esistevano, quando non vengono fermati gli aerei ultimo modello per qualche problema di sicurezza (portelli che volano, etc). Però oggi volano vento volte più persone, segno che alla fin fine il sistema funziona. In quanto alle soste, va messo in conto anche la…disinvoltura di certi passeggeri, come quelli della foto che alleghiamo. Potremmo anche dire: beata gioventù, ma certo qualche divano un po’ più comodo avrebbe aiutato anche loro.