Dei relitti e delle pene
LIVORNO – Abbiamo parafrasato, la sua anima ci perdonerà, il celebre trattato di Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene”. Non solo per l’attinenza fonetica: ma anche e specialmente perché le migliaia di relitti navali, terrestri ed aerei che giacciono in fondo ai mari del mondo rappresentano insieme la testimonianza di tragedie in cui la pena delle tante vittime si accompagna alla consapevolezza di tanti inquinanti.
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Inquinanti che, alla luce dell’attualità e del costo dei metalli, potrebbero rappresentare anche una fonte di ricchezza abbastanza a portata di mano. Secondo una ricerca riferita dal “National Geographic” infatti, soltanto nel Mediterraneo italiano ci sono 790 relitti censiti a profondità inferiori ai 50 metri: cioè recuperabili con il semplice utilizzo di un pontone con una benna. Poiché si tratta di ricavarne metallo da rottamare, non c’è nemmeno lo scrupolo di spaccare e strappare brandelli di ferro: inoltre sott’acqua la ruggine non ha gli stessi processi che all’aria e il metallo si conserva, con la sola necessità di ripulirlo dalle incrostazioni algali e animali.
L’ipotesi di ripulire il mare ricavandone metalli – in alcuni casi anche relativamente preziosi come rame, bronzo, alluminio etc – sta avanzando in molti paesi dove la fame di ferro si fa sentire in modo acuto: Italia compresa. Da noi poi esistono imprese che nei recuperi navali anche in profondità sono state e continuano ad essere all’avanguardia, sulla scia della storica “Artiglio”.
Siamo solo all’utopia? Se non altro ci servirà a ricordare che cosa si nasconde nel cuore del nostro mare, troppo spesso considerato solo per quello che succede alla superficie.
A.F.
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