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Guerre pirateria e risorse

ROMA – La guerra tra Israele e l’Autorità della Striscia di Gaza sembra, a vedere la TV e in genere a leggere sui grandi media, uno scontro di religione. Eppure dietro allo storico conflitto sul controllo dei territori ci sono motivazioni ben più terrene dei relativi Credo. Come accade in particolare per tutti i conflitti territoriali che oggi più che mai infiammano il mondo. Quasi sempre c’è il petrolio o c’è il gas, che malgrado i grandi proclami della prossima fine dei combustibili fossili rappresentano ancora la ricchezza dei paesi titolari dei giacimenti. Ne fa fede un rapporto di pochi giorni fa di FederPetroli.

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“A largo delle coste israeliane ci sono enormi risorse di gas naturale, il Leviathan, uno dei giacimenti di gas più grandi al mondo nel Mar Mediterraneo”: lo afferma il presidente di FederPetroli Italia Michele Marsiglia a seguito del conflitto che sta investendo i territori palestinesi ed israeliani.

Continua Marsiglia: “Possiamo parlare di religione, di territori occupati e di altre variabili tra i due popoli ma da anni l’interesse è focalizzato sullo sfruttamento delle risorse minerarie offshore. Sfruttando l’enorme bacino di gas sia Israele che i territori palestinesi potrebbero raggiungere un’indipendenza energetica e diventare nello stesso tempo esportatori del gas estratto e prodotto. Geograficamente, l’area che si affaccia sul Mar Mediterraneo è strettamente collegata alla Striscia di Gaza. Se anche la zona di terra sotto controllo dell’Autorità Palestinese riuscisse a trovare fondi finanziari da parte di altri paesi arabi per lo sfruttamento delle risorse, in un solo anno sia la Striscia che la zona della West Bank (Cisgiordania) non avrebbero più bisogno di Israele per il proprio fabbisogno energetico, considerando che oggi la Striscia vive di corrente alternata durante il giorno. Parliamo di 50 chilometri di area in estensione di giacimento in acque profonde a circa 1.500 metri”.

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“C’è gas per oltre 50 anni di autonomia, Leviathan in piena produzione di idrocarburo sconvolgerebbe gli equilibri commerciali del Medio Oriente” conclude Marsiglia.

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Lo stesso si può dire per il crescente impatto della pirateria al largo della Guinea, in Africa: l’attacco alle navi è sviluppato da pirati alla buona, ma il pericolo vero è quello contro le piattaforme petrolifere, che stanno cominciando a lavorare sui giacimenti marini di gas e greggio. Di recente, si legge nei rapporti internazionali, oltre cento compagnie di navigazione che operano lungo la costa Occidentale africana hanno sottoscritto un memorandum per chiedere protezione alle Marine Militari europee. In particolare la piattaforma Saipem 1000, che opera nel golfo, è costantemente sotto mira ed è protetta ad oggi da una fregata italiana, nave “Rizzo” con il suo elicottero e il personale del San Marco (i marines italiani); così come avviene anche davanti al Libano, dove un’altra fregata italiana sta proteggendo sia un impianto di estrazione, sia i pescatori siciliani che operano in acque internazionali e sono costantemente aggrediti dai pescatori turchi.

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Può essere, questa della presenza delle nostre navi militari in difesa degli interessi economici italiani e contro la pirateria, una risposta a chi anche di questi tempi lamenta le spese del Paese per navi, aerei ed esercito? Senza arrivare agli eccessi dei futuristi (Marinetti scriveva: “la guerra, unica igiene al mondo”) è opportuno ricordare la saggezza dell’impero romano: “Si vis pacem, para bellum”. Che tradotto in volgare popolare potrebbe anche suonare così: “chi pecora si fa, lupo la mangia”.

A.F.

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Pubblicato il
22 Maggio 2021
Ultima modifica
25 Maggio 2021 - ora: 11:53

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