La tragedia del vecchio “Nangaala”

Nella foto: Il sommergibile indonesiano “Nangaala” in una foto ufficiale.
BALI – L’ennesima tragedia del mare, che ha coinvolto il sommergibile indonesiano “Nangaala” la settimana scorsa, ha visto l’intervento massiccio – ma purtroppo inutile – di decine e decine di navi da soccorso: con tanto di “campane” da profondità, rover specializzati e super-idrofoni per captare eventuali segnali di sopravvivenza.
L’inchiesta della marina indonesiana chiarirà il perché della tragedia. Ma già adesso, sulla base dei dati disponibili, è vero che il sommergibile fosse troppo vecchio, poco revisionato e per di più sovraccarico (52 persone a bordo invece di 40). Nel corso dell’esercitazione cui partecipava, aveva chiesto il permesso – forse per un eccesso di fiducia del comandante – di scendere in profondità. Poi il silenzio definitivo.
Non ci sono dubbi che il vecchio battello sia colato a picco su un fondale di oltre 800 metri, quando la massima quota di collaudo fosse – a nave nuova – di 230 metri. Secondo gli studi internazionali, oltre i 200 metri di profondità le possibilità che un sommergibile possa sopravvivere a guasto sono minime. Probabilmente collana a picco lo scafo ha superato la profondità di massima resistenza ed è imploso, frantumandosi o comunque uccidendo all’istante l’equipaggio. Un salvataggio a quelle profondità, anche se qualche compartimento avesse resistito con alcuni superstiti, sarebbe stato comunque impossibile o quasi.
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Per un confronto, i media specializzati ricordano la tragedia del modernissimo sommergibile nucleare russo “Kursk” affondato per un’esplosione interna nel 2000 nel mare di Barens, in cui morirono i 118 membri dell’equipaggio, malgrado alcuni fossero sopravvissuti più ore in una cellula resistente. Il sottomarino era finito su un fondale di 105 metri mentre poteva resistere, se integro, fino a 600 metri: Ma le esplosioni interne avevano ucciso quasi tutti e bordo salvo un gruppetto di superstiti a poppa, che tuttavia non fu possibile raggiungere in tempo. Solo 5 giorni dopo un batiscafo norvegese riuscì ad agganciare il relitto e fu possibile accertare che non c’erano superstiti: quelli che si erano salvati a poppa erano morti quando era finito l’ossigeno.
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