LIVORNO – Lo so, qualcuno mi dirà: ma che t’impicci, nel tuo porto il tuo presidente l’hanno nominato, quindi non rompere.
Invece io rompo: anche Pasqua è passata, abbiamo fatto tutti i buoni propositi della quaresima, siamo aperti agli aliti della primavera che ci dovrebbero rendere meno incazzati. Ma io rompo. Perché? Perché sulle presidenze delle Autorità Portuali di Sistema si sta confermando il colpevole, direi vergognoso, disinteresse della politica centrale, con un governo che anche oggi sembra più ostaggio delle beghe interne che non dei problemi operativi del paese. Notate: paese in minuscolo, ormai.
Veniamo ai fatti: delle sedici AdSP italiane, ce ne sono ancora una mezza dozzina i cui gli organi di governo – presidenti e Comitati di Gestione – risultano scaduti da mesi senza che ci sia degnati di rinnovarli o sostituirli. Caso limite il commissario a Gioia Tauro.
Cito un paio di altri casi che sono da urlo: a Venezia c’è un commissario pro-tempore, nominato in fretta e furia quando il “numero uno” locale è stato promosso a Civitavecchia: commissario con l’impegno di preparare la minestra al prossimo presidente. Risultato? La signora, peraltro brava e volenterosa, è sempre lì in attesa. Ad Ancona è ancora peggio: il presidente è scaduto a dicembre, la sua prorogatio secondo la legge istitutiva è scaduta anch’essa (45 giorni) ma lui è ancora lì con il cerino in mano di presidente che non può presiedere non avendo altro che i poteri dell’amministrazione ordinaria. Con lui è scaduto che il Comitato di Gestione, sono scaduti i revisori, sta per scadere persino il segretario generale (che a quanto mi risulta non può andare in prorogatio: forse potrebbero rinnovargli il contratto per qualche mese, ma è dubbio che presidente e comitato scaduti possano farlo). Insomma un grande porto alla deriva, dove a quanto pare nessuno ha davvero il coraggio di andare a prendere a pedate il portone del ministero. E dove con rabbia si cita l’ottima gestione trascorsa.
Sono solo due esempi e mi fermo per motivi di spazio. Da Roma mi balbettano che i decreti per il Covid hanno di fatto prorogato “sine die” le cariche istituzionali almeno fino a quando la pandemia non sarà esaurita. Però senza poteri: cioè a scaldar le sedie o poco altro. Altra risposta: stiano zitti, pigliano lo stipendio. Allora capisco: e potete capire anche voi la nobiltà del ragionamento.
E a Roma, dunque? “Messere, se di me cale, venga meco” scriveva il Boccaccio. Messer Alessandro Morelli (viceministro alle infrastrutture) se dei porti qualcosa le cale, che diavolo aspetta?
Antonio Fulvi