Fare davvero sistema sulla logistica nazionale
CIVITAVECCHIA – È un presidente “trapiantato” e bisogna riconoscere che Pino Musolino venendo da una realtà complessa, si ritrova oggi in una realtà complessa al cubo. Non tanto e con solo per i problemi dell’AdSP del Tirreno Centro-Settentrionale nella quale è da poco entrato, ma per quelli di una generale gestione del cluster portuale nazionale, tra cambi di governo, cambi di ministri e un assetto dell’ex MIT tutto ancora da decifrare. Ci ha concesso, e lo ringraziamo, questa intervista fuori dai denti.
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Presidente, in attesa che il nuovo Governo chiarisca le direttive sulla logistica portuale italiana, anche in rapporto a quelli che appaiono i diktat della UE, quali sono a suo parere le priorità da affrontare in tempi brevi?
Innanzitutto l’Italia ha bisogno di rendersi conto che attraverso la propria capacità di connettersi con il Continente e, all’interno del Mediterraneo, con i paesi limitrofi, passa la grande maggioranza delle opportunità di crescita e di sviluppo economico del Paese. Questo significa dover pensare in maniera sistemica e organica sia a quello che serve, sia a quello che c’è già e andrebbe messo maggiormente a reddito. Il lavoro di coordinamento di tali politiche, che doveva essere impostato in sede di conferenza dei presidenti, non è mai stato effettivamente portato alla sua massima capacità. È necessario quindi riprendere fino in fondo gli obiettivi del piano strategico nazionale sulla portualità e la logistica, magari attualizzandoli, coordinando la conferenza con un lavoro di tessitura di rapporti e di confronto con i vari operatori del cluster per essere sempre allineati alle necessità e alle istanze che provengono dai mercati.
La sua precedente esperienza da presidente ha avuto anche momenti di tensione con il cluster portuale. Quanto possono dipendere queste eventuali divergenze, pesanti anche in altri sistemi portuali, dalla mancanza di chiarezza di certe prerogative di legge, mai aggiornate con l’attesa riforma della riforma?
In realtà nella mia precedente esperienza non ho avuto particolari momenti di tensione col cluster, ci sono stati invece momenti di strumentalizzazione da parte di qualcuno che rappresentava gli enti locali.
Con il cluster portuale invece ho sempre avuto un ottimo rapporto e relazioni molto fitte, non necessariamente sempre condividendone pienamente tutte le visioni, ma sicuramente scambiando fattivamente idee e proposte.
Le divergenze spesso capitano anche perché c’è una scarsa consapevolezza di quali siano i ruoli e di come questi ruoli debbano essere esercitati in chiarezza. Sarebbe opportuno che in un’ottica di efficientamento, si provvedesse alla redazione di norme più chiare e puntuali, che definissero in maniera definitiva competenze e ruoli sia dell’authority che dei vari soggetti chiamati a partecipare ai vari organi della medesima.
Se però alle Autorità di Sistema Portuale viene demandato il fondamentale ruolo di definizione delle strategie e del disegno dei porti del futuro, devono anche essere dati adeguati poteri, dai quali peraltro discendono significative responsabilità, che non possono essere sempre messi in discussione da qualsiasi componente del cluster. Il moltiplicarsi di centri di discussione, e l’assottigliarsi della capacità direzionale e di prospettiva rappresentata da una associazione dei porti italiani debole e scarsamente rappresentativa, ha rappresentato in questi anni la ricetta perfetta per alimentare questo tipo di tensioni e difficoltà.
Il sistema del Tirreno Centro-Settentrionale che lei è stato chiamato a gestire è un esempio della complessità di pianificare senza incorrere in raffiche di TAR o peggio. Civitavecchia è anche un nodo importante delle Autostrade del Mare. Ritiene che ci sia a livello generale, e anche di Governo, la piena consapevolezza dell’importanza del trasporto marittimo anche per il rilancio dell’economia specie del Sud?
In tutta onestà, e senza voler esprimere alcun giudizio, credo che complessivamente per il sistema Paese, e a maggior ragione per il Centro e Sud Italia, ci sia stata negli anni una scarsa consapevolezza dell’importanza del trasporto marittimo. Mi permetto solo di sottolineare come le Autostrade del Mare, che potrebbero rappresentare una enorme opportunità, stante anche la difficoltà, dovuta alle caratteristiche fisiche e geografiche, di sviluppare significative connessioni di terra nel Centro e Sud Italia, siano state poco considerate e incentivate, se non in tempi estremamente recenti. Il nostro paese peraltro è leader europeo e mondiale sullo Short Sea Shipping, quasi senza rendersene conto. Ritengo che soprattutto nel prossimo futuro, anche in considerazione dell’importanza crescente del continente africano, per il Centro-Sud rafforzare le connettività che puntano all’intermodalità sia un elemento di grande forza per sostenere e sviluppare l’economia.
Si imputa spesso – come hanno sostenuto di recente sulle nostre pagine i suoi colleghi Sommariva e Monti – la mancanza di un vero rapporto continuato del sistema dei porti con il MIT alla non attivazione della conferenza dei presidenti delle AdSP come invece prevedeva la riforma. Perché c’è stato questo vuoto? E si è fatto abbastanza per ovviare da parte di Assoporti e di tutti voi?
Come già dicevo in precedenza, la mancata piena attivazione della conferenza dei presidenti rappresenta nell’attuale architettura sicuramente un limite alla possibilità di sfruttarne tutto il potenziale. Non posso certo ragionare per il lato MIT, ma è evidente, e questa autocritica andrebbe fatta in maniera molto aperta e molto laica, che Assoporti non abbia svolto quel ruolo di elaborazione, studio, pungolo che dovrebbe essere la sua vocazione naturale. Non ci deve essere timore del confronto, nella misura in cui si fanno circolare idee e proposte mirate alla creazione e al rafforzamento di politiche industriali per il Paese, nelle quali i porti hanno sicuramente un ruolo fondamentale. Per fare questo c’è ovviamente la necessità di elaborare ma anche di presentare e sostenere pubblicamente le proprie posizioni, che sono ovviamente tecniche, in quanto il nostro ruolo è tale.
La UE ha posto un ultimatum sulla tassazione delle AdSP come strutture privatistiche. Ricorsi in atto a parte, ritiene che sarebbe opportuno rivedere la natura giuridica delle stesse AdSP?
Qui il tema vero non verte sul rivedere la natura giuridica delle AdSP: si tratta di trovare tecnicamente la soluzione che garantisca la risposta almeno parziale alle censure mosse dall’Europa, mantenendo comunque la specificità del nostro sistema portuale nazionale. Il voler collegare questo a un cambiamento di natura giuridica è un tentativo di accelerazione non necessariamente collegato da un punto di vista logico. Dopodiché sono anche aperto a una discussione a 360° a patto che si studi con molta attenzione ogni aspetto delle varie ipotesi in campo soppesando bene i pro e i contro di ogni possibile scelta, per evitare di trovarci di qui a qualche anno a doverci nuovamente lamentare delle difficoltà poste dall’eventuale nuovo sistema adottato.
Le grandi compagnie di navigazione diventano sempre più anche terminalisti, in accordo ma anche in competizione con fondi d’investimento: un cambiamento che pone problemi al vecchio ordinamento portuale e ad alcune delle sue categorie storiche (agenti, spedizionieri) ma che sembra inarrestabile. Il suo parere?
È evidente che in questi ultimi anni sono intervenuti fenomeni di grande cambiamento nella struttura dell’economia e delle società che si occupano di shipping e pensare di voler rifiutare quanto è già presente e sviluppato nel mercato sarebbe assolutamente velleitario. Chiaro che fenomeni di concentrazione rappresentati da forme quali il 3PL, 4PL o 5PL possano comportare anche significativi “rischi“ per il potenziale coefficiente di monopolismo insito. Altri aspetti, come la trasformazione del ruolo di agente e spedizioniere, sono a loro volta oggetto di grandi mutazioni che probabilmente vedranno significativi modifiche di tali professioni nel futuro. Però è altrettanto vero che nei processi economici da sempre subentrano costanti momenti di cambiamento e di evoluzione, nei quali alcune caratteristiche si perdono, ma altre di nuove si riacquistano. Credo che il vero segreto sia mantenere livelli molto alti di qualità e di formazione professionale e la capacità, questo sì, di superare una certa frammentazione e un certo nanismo imprenditoriale che, nello scenario di competizione globale, non permette più di poter competere alla pari.
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