LIVORNO – Non ci dovrebbe esser bisogno di sottolinearlo: e certo non siamo Cesare Beccaria con il suo “Dei delitti e delle pene”. Ma siamo, in sostanza, di quelli che non sanno star zitti. Siamo, come dicono in Toscana, “ciaccioni”. E allora non ci è piaciuto questo insistere sull’immagine di un porto livornese dove tutti sono perennemente indagati. Due giorni fa sul quotidiano locale è uscito uno “strillo” in prima pagina con queste parole: indagati i big del porto. È vero, ovviamente: perché i magistrati hanno ipotizzato sconti illegittimi sulle concessioni demaniali, ovvero riduzioni dei canoni in cambio di investimenti dei terminalisti. Sotto inchiesta ci sono tutti i terminalisti, pare nessuno escluso. E indirettamente dunque, se l’indagine non si concluderà con un nulla di fatto – a volte succede – anche chi ha concesso gli sconti. Si rischia di mandare sotto processo tutto il sistema di gestione del porto.
Sia chiaro: la magistratura fa il proprio mestiere e difficilmente un’indagine come questa, “urbi et orbi” parte per sghiribizzo d’un magistrato. Qualcuno ha presentato una denuncia, o peggio. Da tempo Livorno è indicato a livello nazionale come un pozzo senza fondo di esposti, ricorsi, denunce, TAR e procura della Repubblica. Ultimamente sembra che siamo arrivati anche al Consiglio di Stato, dopo che la magistratura ordinaria aveva riconosciuto che non deve esistere sul porto un monopolio di terminalismo per contenitori e passeggeri. Diatriba vecchia, forse destinata a trascinarsi chissà fino a quando. Come il fatto che rimangono sotto inchiesta da più di un anno i vertici dell’AdSP, che hanno avuto anche la gogna della sospensione, poi annullata.
Capisco di affrontare una materia delicata. Ma è il mio mestiere; ed altre volte mi hanno bacchettato, fino a mettere anche me sotto inchiesta. Il problema dei problemi, a mio parere, non è tanto l’aprire inchieste penali o anche civili sul porto, quanto i tempi per concluderle. La vertenza contro i vertici dell’AdSP – gli stessi che tra una settimana avranno finito il mandato – non è l’unica a trascinarsi per troppo tempo rispetto alle esigenze della gestione del porto. Ci sono cause che si trascinano da anni: tipica quella contro il commercialista Del Ghianda, che si è chiusa dopo una decina d’anni con la piena assoluzione: ma potete immaginare come siano stati vissuti questi anni (spese a parte) da chi è ed è stato riconosciuto persona per bene. Altra causa oltre una decina d’anni quella che coinvolge l’ex presidente dell’AdSP e della Porto 2000 Bruno Lenzi: una storiaccia che ha investito opere d’arte sotto sequestro, curatori, figli e parenti. Colpevoli o innocenti? E se innocenti, da risarcire o no? Dopo più di dieci anni, non sarebbe il caso di saperlo?
Torniamo alle concessioni demaniali scontate. Mi si dice che ci sia nella stessa legge 84/94, un paragrafo che autorizza questi sconti a chi dimostra di aver investito nel demanio, con opere che arricchiscono il demanio (non se uno ha comprato un forklift che si porterà eventualmente via, ma ha pavimentato piazzali, ricostruito banchine, piazzato bitte o realizzato scarichi fognari). Dunque? Certo, va verificato se l’entità degli interventi che arricchiscono il demanio siano tali da consentire sconti e di quanto. Ma ci piacerebbe (e forse piacerebbe anche ai magistrati indaganti) che i tempi delle risposte fossero veloci, veloci, meglio ancora velocissimi. A babbo morto – sempre come si dice in Toscana – anche la verità lascia l’amaro in bocca.
Antonio Fulvi