Vaccinazione anti-Covid: e se un lavoratore dice no?
ROMA – Sta suscitando apprensione, ma anche un attento dibattito, l’ipotesi avanzata da alcuni giuristi italiani sul diritto-dovere dei datori di lavoro di licenziare chi dovesse rifiutare la vaccinazione anti-Covid una volta giunto il proprio turno.
È un dibattito che riguarda un po’ tutti i datori di lavoro e che va seguito con attenzione – dicono alcuni dei più importanti studi legali italiani – perché rischia di aprire un nuovo grande contenzioso nel mondo del lavoro.
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Si parte dal fatto che ad oggi non esiste alcuna norma specifica che obbliga a vaccinarsi contro il Covid: esistono circolari sull’importanza di contrastare in ogni modo l’estendersi della pandemia, ed esiste un articolo della Costituzione italiana (art.32) che vieta l’obbligo di somministrare sostanze a scopo medico senza un’apposita norma di legge. Dunque, ipotesi a parte e richiami etici per la salvaguardia pubblica nel corso della pandemia, chi non volesse accettare la vaccinazione può farlo senza incorrere in punizioni, tanto più sul mondo del lavoro.
Però c’è qualche però aggiuntivo. Secondo una recente testimonianza apparsa sul Sole24Ore dei giorni scorsi, un datore di lavoro deve tutelare la salute dei propri lavoratori: e nel caso di uno d’essi che rifiutasse la vaccinazione, può invocare il diritto/dovere alla tutela e quindi può spostare il lavoratore a mansioni che non comportano la sua vicinanza con altri. E se queste mansioni non esistono nell’azienda? Il suggerimento è lo smart working, che però non sempre esiste per particolari tipi di lavoratori. Ultima soluzione, ma che probabilmente può aprire un contenzioso, fosse il lavoratore in aspettativa non retribuita, invocando la temporanea inidoneità al lavoro. Che potrebbe rientrare con la sua vaccinazione o con la comprovata vaccinazione di tutti gli altri lavoratori dell’azienda. In ogni caso, una faccenda di lana caprina.
A.F.
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