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Logistica sostenibile e più ferrovia gli elementi di punta per la ripresa

Daniele Testi

MILANO – Tempi complicati per lo shipping non solo nel Mediterraneo ma a livello mondiale. Abbiamo cercato di conoscere lo stato delle cose con questa intervista a Daniele Testi, direttore marketing e comunicazione di Contship Italia, colosso nel terminalismo (La Spezia, Salerno, Ravenna e Tangeri) e nell’intermodale (con la galassia Sogemar, quindi Hannibal per i trasporti intermodali, Rail Hub ovvero l’inland terminal di Melzo, ed Oceanogate, sulla trazione ferroviaria). Testi è anche presidente di SOS-LOGistica, associazione impegnata a ridurre l’impatto ambientale della logistica.

Come sono stati colpiti i vostri terminal principali dal Covid?

Il lockdown ha colpito duramente i nostri porti principali seppure in modo diverso. Quello di La Spezia, molto esposto a livello internazionale soprattutto con il Far-East, ha subito per primo il calo dei volumi, poi abbiamo avuto il blocco italiano, evidente soprattutto nell’esportazione ed infine l’“effetto onda”, cioè il verificarsi dei veri effetti su quanto accaduto in gennaio febbraio in Cina con il ritardo dovuto ai tempi di viaggio. Effetti che quindi si sono iniziati a sentire da marzo con tendenza in aumento fino ai mesi peggiori, maggio e giugno. Forse solo in questa fase si intravede una piccola ripresa.

All’origine di questi cali c’è non solo la riduzione dei trades, ma anche la riorganizzazione per il black sailing – ovvero minori scali e trasbordo su porti più vicini al mercato finale – con la conseguente cancellazione dell’economia di scala, cioè il poter fare massa critica su un porto e da lì distribuire. Il porto di Ravenna ha invece traffici più regionali che guardano al Mediterraneo Orientale. Storicamente ha sempre avuto buoni volumi sull’agrifood e il fresco. Anche qui la sofferenza è dovuta alla riorganizzazione dei servizi, ma ha percentuali più basse. Infine Tangeri, che risente di un calo di attività a due cifre non solo per il lockdown ma anche per i problemi logistici di congestione dei porti del West Africa con navi che aspettano anche 40-45 giorni prima di essere sbarcate.

È possibile fare previsioni per il prossimo futuro?

È molto difficile. La Spezia opera con servizi diretti internazionali e serve una serie di mercati: dovremo vedere quale sarà l’andamento della nostra produzione ma anche lo stato di “ripartenza” dei mercati di destinazione finale. Ad oggi, in linea con i principali scali italiani, prevediamo un terzo trimestre che non si discosta molto dal secondo. Bisognerà poi capire se alla fine dell’anno ci sarà o meno la ripresa.

Le vostre attività intermodali lato mare e lato continente quali sono e che effetti hanno subito?

Dal lato marittimo trattiamo i volumi via treno o via camion con Hannibal su Ravenna, La Spezia, ma anche su Genova, ed abbiamo risentito del calo. Sul ferro, nonostante la validità del mezzo, non abbiamo picchi in questa fase ma rileviamo un’attenzione crescente degli operatori. Il servizio Southern Gateway, che offriamo a caricatori e spedizionieri svizzeri come parziale alternativa ai porti del Nord, ha risentito del calo dell’import della Svizzera, paese per il quale si stima un -7% di PIL.

In ambito continentale la situazione è diversa: come Hannibal offriamo anche servizi su ferrovia per merci dalla Lombardia, dal Veneto, dall’Emilia Romagna verso centro e nord Europa. In questo interscambio intra EU le performance sono state le migliori. Abbiamo mantenuto una continuità del servizio con Rotterdam affiancandone nuovi con Vienna, con la Cina, Duisburg, Monaco. Sono servizi che stanno reggendo e gli eventuali cali sono molto ridotti.

Quali sono le prospettive nei vari segmenti?

Sul marittimo è indubbio che il trade sia in calo, a livello mondiale è stimato circa un -32%. In Italia la stima è -12/13%. Sul lato continentale credo ci siano prospettive interessanti per il trasporto europeo; ci aspettiamo a fine 2020 o inizio 2021, con la messa a regime della nuova capacità del Gottardo – e quindi con treni a maggior capacità in termini di lunghezza e di carico – buone opportunità per aumentare il modal shift. Siamo pronti per spostare molto traffico da gomma a ferro: abbiamo sia le competenze che il terminal intermodale di Melzo operativo e in crescita come rete e numero di servizi. I treni circoleranno con il modello 400 (750 mt di lunghezza e 2000 tonnellate di carico) e le nostre aree rispondono già a questi requisiti. Purtroppo a mancare sono i collegamenti adeguati su ferro dei porti verso la pianura padana; ed anche su strada il trasporto subisce i tanti problemi strutturali esistenti. Il nostro modello prevede un uso massiccio del treno che, sintetizzando, è il seguente: treno corto e veloce dai porti verso Milano e poi treno lungo che collega agli altri mercati.

Il nostro partner Rail Cargo Group Austria ha lanciato un servizio settimanale che collega Melzo con Xi’an e viceversa, con sosta tecnica a Vienna, e stiamo cercando, per quello che ci compete, di avere finalmente dall’Italia un servizio regolare che possa settimanalmente essere l’alternativa a quello aereo; la nostra proposta è molto competitiva – anche in rapporto al trasporto marittimo – dal lato tariffario e dei tempi di viaggio (inferiori di 10-15 giorni).

La diversificazione lato marittimo porti e lato intermodale quanto vi rende più competitivi?

La nostra missione prevede, da sempre, forti investimenti sul ferro e possiamo dire di aver creato un modello per gli altri. Ci sono difficoltà concorrenziali derivate dalla verticalizzazione della proposta di alcuni dei nostri clienti che hanno aggiunto ai propri asset l’intermodale. Noi siamo un operatore indipendente che cerca un’economia di scala con una logica multi client e questa rimane la nostra missione; i nostri clienti sanno di poter prendere il nostro treno senza aver paura che qualcuno cannibalizzi il loro trade.

L’intermodalità rappresenta un asset strategico per la competitività di tutti i porti, non solo per i nostri. Lo dimostriamo con Hannibal operando in porti competitor con la volontà di generare business, anche sostenibile. Dalla nostra parte abbiamo circa 50 anni di esperienza e la realizzazione di asset quali Oceanogate e l’interporto di Melzo per coprire un’area di mercato sempre più ampia e sempre più estesa.

La pandemia inoltre ha messo in luce la sempre maggiore difficoltà di reperire autisti; è davvero sempre più difficile immaginarli costretti sui camion fino a 4 giorni per tratte di 1000-2000 km. È vero che i dati 2020 del ferroviario sono in calo ma solo perché alcune filiere che lo utilizzano sono state bloccate e altre sono a rischio (auto motive, acciaio, componentistica etc.). La prospettiva, soprattutto per il traffico oltre Alpi, va verso un maggior bilanciamento fra la quota ferro (in Italia oggi stimata al 7% di utilizzo) rispetto al tutto strada.

Il vostro gruppo da sempre ha avuto fra i suoi obiettivi lo sviluppo congiunto alla sostenibilità.

La sostenibilità è nel DNA di Contship; per noi sono tre gli elementi che la trainano. Il primo: i porti e i territori dove investiamo, spesso realtà inserite dentro contesti cittadini dove vogliamo crescere con sempre meno emissioni e dove abbiamo fatto ingenti investimenti in questo senso. Il secondo: i clienti, che con noi possono predisporre una modalità di trasporto più sostenibile. Ed infine i nostri dipendenti, ai quali – fra i primi a La Spezia – abbiamo offerto ed offriamo welfare aziendale, sicurezza e formazione. L’ulteriore testimonianza di attenzione del Gruppo è la partecipazione come socio a SOSLOGistica ed il permettere a me, direttore marketing Contship Italia, di esserne il presidente e di portare avanti temi come l’impatto ambientale, il rinnovo energetico, l’installazione di sistemi sempre più efficienti, il maggiore utilizzo del treno al posto del camion pur nel riconoscimento dell’assoluta importanza del Tir per le tratte più brevi e con motori sostenibili. Ma la grande battaglia di SOSLog è culturale e punta ad aiutare il consumatore finale a riconoscere e fare proprio il valore della logistica sostenibile. In questo credo che il Covid possa essere di aiuto: sta portando le aziende vituose a investire di più sulla sostenibilità e dà una scusa alle altre per non investire affatto. Sarà poi il mercato a premiare la giusta scelta.

Il Recovery Fund prevede importanti stanziamenti per l’Italia: ha fiducia che il comparto portuale logistico possa averne una congrua assegnazione?

Mi auguro – ma ne sono abbastanza convinto – che una grande parte di questi fondi andrà su infrastrutture. L’Italia ha bisogno di uno shock infrastrutturale tale da generare immediatamente PIL e ulteriore PIL indotto, perché maggiore è l’infrastrutturazione migliori sono poi gli indici di competitività del produrre merci e venderle.

Ma uno dei più grandi problemi irrisolti a mio parere è quello dei dragaggi portuali. Siamo ancora a combattere con norme superate e penalizzanti mentre i nostri porti rischiano di perdere opportunità.

Cinzia Garofoli

 

Pubblicato il
1 Agosto 2020
Ultima modifica
2 Agosto 2020 - ora: 13:30

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