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Riforma portuale e intermodalità terrestre così MIT e Ferrovie riscrivono la mappa

Le linee di sviluppo per i collegamenti tra interporti, scali marittimi e piattaforme logistiche nazionali in relazioni alle grandi direttrici europee – Le connessioni dell’ultimo miglio verso il mare – Sagome e profili dei convogli ferroviari italiani

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ROMA – Le fibrillazioni della politica dopo i risultati delle amministrative s’intrecciano con le urgenze delle riforme nazionali che, complici anche gli ultimi sussulti per il Brexit in Gran Bretagna, sembrano aver subito una battuta d’arresto.
Invece da Roma gli uffici del MIT (ministero Infrastrutture e Trasporti) sono ormai quotidianamente impegnati su sue direttrici: i passaggi nelle commissioni parlamentari per la riforma dei porti e l’impegno con la UE per il potenziamento del trasporto ferroviario delle merci, con riferimento diretto alla rete degli interporti e alle connessioni “ultimo miglio” con i porti. Con il programma che, espresso nel “Discussion Paper” dello scorso febbraio nella struttura tecnica di missione, entra oggi nel vivo con il seguente elaborato di sintesi.

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Pianificazione e governance dei terminal intermodali
Con il Piano Strategico Nazionale della Portualità e della Logistica, il Governo italiano ha individuato, nel luglio 2015, un percorso di riorganizzazione della governance e di aggregazione delle Autorità Portuali tendente a migliorare la competitività della rete degli approdi marittimi. Lo stesso documento affronta anche il tema centrale del coordinamento tra le piattaforme logistiche e della migliore utilizzazione della capacità produttiva esistente, evitando di realizzare ulteriori investimenti che non siano coerenti con il disegno dei corridoi e dei nodi europei: “L’offerta portuale delle piattaforme logistiche disponibile non tiene debitamente in conto gli attuali livelli e le caratteristiche della domanda, e presenta, in particolare nel settore degli interporti, vari casi di capacità non utilizzata e sovradimensionamento degli impianti realizzati. Sotto altri profili, invece, la più recente evoluzione della domanda ha evidenziato andamenti differenziati dei vari segmenti e a dispetto di un contesto generalmente debole, per alcuni di essi si è reso necessario effettuare investimenti rilevanti”.
Appare necessario, dunque, applicare anche a interporti e piattaforme logistiche e intermodali una logica di dimensione sovra-territoriale per aggregare e semplificare un assetto che, nel corso dei passati decenni, ha assecondato logiche di provincialismo e di localismo incompatibili con la globalizzazione dei mercati e della logistica. E’ per questa ragione che il disegno di legge di riforma degli interporti, presentato ormai tre legislature fa, si proponeva di procedere verso la costituzione di Piattaforme Logistiche Territoriali, intese come “il complesso di infrastrutture e servizi presenti su un territorio interregionale destinato a svolgere funzioni connettive di valore strategico per il territorio nazionale, al fine di interconnessione e per la competitività del Paese”.
Più in generale gli elementi qualificanti dei tentativi di riforma che non sono andati in porto riguardano:
· le piattaforme logistiche territoriali; questo passaggio dal concetto di interporto a quello di piattaforma logistica territoriale è connesso alle revisioni contenute nell’Allegato Infrastrutture della Legge di Stabilità del 2006, ed indica aree territoriali caratterizzate dal omogeneità connettiva. Le linee guida del piano nazionale della logistica, presentate dal Governo nel gennaio 2011, ma mai poi attuate, individuavano 6 piattaforme logistiche (Nord Ovest; Nord Est; Tirrenico Adriatica Nord; Tirrenico Adriatica Centrale; Tirrenico Sud; Mediterraneo Sud. Va osservato che non avrebbe molto senso disciplinare piattaforma logistiche territoriali solo con riferimento alle strutture inland, ma occorrerebbe collegare questa evoluzione, importante in particolare sotto il profilo della governance, anche alla riforma dei porti, che avvia ora il suo percorso di discussione parlamentare successivamente alla presentazione del documento strategico da parte del governo;
· la costituzione di un Comitato nazionale per l’intermodalità e la logistica, organismo istituito presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
· la definizione e la approvazione di un Piano generale per la intermodalità, provvedendo in tale sede alla definizione delle piattaforme logistiche territoriali ed alla relativa disciplina amministrativa;
· i requisiti per la individuazione di un nuovo interporto (disponibilità di un territorio privo di vincoli paesaggistici, naturalistici e ed urbanistici che ne compromettano la fattibilità; collegamenti con le altre infrastrutture, coerenza con i corridoi trans europei di trasporto, recupero o riutilizzazione di strutture preesistenti); va notato che nel corso della discussione sono stati eliminati riferimenti ad un numero minimo di coppie di treni settimanali (nella mia valutazione tra 10 e 15) che garantiscano effettivamente la funzione di interscambio modale;
· la natura della gestione degli interporti, che “costituisce attività di prestazione di servizi rientrante tra le attività aventi natura commerciale”; in questo modo gli interporti ”agiscono in regime di diritto privato”, anche se l’utilizzo di risorse pubbliche è disciplinato dalle norma sulle contabilità di Stato e dal codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture;
· il potenziamento della rete infrastrutturale delle piattaforme logistiche territoriali: si tratta di una questione strategica, perché la competitività logistica è sempre più connessa alle soluzioni tecnologiche di connessione che vengono messe in campo, ma anche perché gli esperimenti che sinora sono stati implementati hanno condotto a risultati poco soddisfacenti; la costruzione di una piattaforma logistica nazionale resta una questione aperta, che non può però condurre alla continua dilapidazione di fondi pubblici che continuano a non dare risultati;
· nelle piattaforme logistiche territoriali viene consentito, nel rispetto delle normative sui rifiuti e sul trasporto delle merci pericolose, l’espletamento di queste attività, al fine di favorire la diversificazione modale e la sicurezza dei trasporti;
· per accelerare la realizzazione delle infrastrutture di trasporto e di viabilità, nonchè quelle dei parcheggi, definite nell’ambito del Piano generale della intermodalità, viene introdotto lo strumento dell’accordo di programma; se tale accordo non viene approvato entro quattro mesi dalla convocazione della conferenza, decade l’assegnazione dei finanziamenti al progetto.
Indipendentemente dalla costituzione o meno delle “Piattaforme Logistiche Territoriali”, e degli altri punti succitati, agli interporti tocca una difficile quadratura del cerchio: devono cavalcare al tempo stesso la miopia, sapendo guardare bene da vicino il tessuto economico locale, diventandone punto di riferimento con capacità crescente di attrazione, e l’ipermetropia, sapendo guardare lontano, ai grandi flussi internazionali del trasporto delle merci, che ormai è guidato da un processo di marittimizzazione dei flussi, per cui la parte terrestre delle connessioni è diventata progressivamente un ultimo miglio che si è esteso di portata e di dimensione.
Questo doppio salto concettuale verso il futuro implica investimenti strategici nei servizi, che possono essere di effettivo supporto alle comunità di imprese che decidono di mettere le proprie radici logistiche negli interporti. Si tratta in particolare di sviluppare:
· servizi per l’internazionalizzazione, favorendo lo sviluppo di connessioni trasportistiche, in particolare intermodali, verso i mercati di sbocco per le produzioni locali e dai mercati di provenienza dei semilavorati e delle materie prime strategiche per il sistema industriale territoriale; essere nodo del “core network” della rete trans-europea costituisce elemento vitale per la strategia degli interporti italiani. Gli operatori internazionali vanno inoltre incoraggiati affinché investano in servizi in grado di generare traffico ferroviario anche da/per il Sud Italia;
· efficienti relazioni con i principali porti, che rappresentano, e sempre più rappresenteranno, lo snodo primario degli scambi, innovando, in una logica di sistema, nelle procedure doganali, nei sistemi di controllo, nella regolazione degli accessi, in tutte quelle funzioni, insomma, che devono limitare i vincoli burocratici che ancora oggi caratterizzano i punti di snodo della nostra rete trasportistica;
· attrattività di investimenti, non solo e non tanto nella tradizionale attività di sviluppo immobiliare per la logistica, quanto invece nella capacità di attirare nuove forze produttive a scegliere le aree limitrofe agli interporti per avviare nuove imprese; inseguire merci lontane per attrarle verso gli interporti è sempre più difficile.
Peraltro, le prime esperienze messe in campo da Terminali Italia (società del Gruppo FS) e alcune società interportuali per la gestione collaborativa – attraverso la stipula di Contratti di Rete – dei servizi terminalistici di ultimo miglio ferroviario (in prima battuta presso i terminali di Verona, Bologna e Bari) e per la realizzazione dei cluster di terminal di prossimità (Bologna e Parma), definiscono un’impalcatura che si muove nella direzione dell’efficientamento dei processi e della creazione di un sistema integrato di servizi capace di interfacciarsi e rispondere alle nuove esigenze degli stakeholder internazionali (siano essi Shipper oppure Operatori Intermodali).
Insomma, occorre riscrivere la mappa strategica per gli interporti e i terminali intermodali del ventunesimo secolo. Un pezzo del futuro dell’Italia, dipende anche dal successo di questa sfida. Si tratta di cucire in un tessuto organico gli indirizzi decisi della Commissione Europea sulle Reti e sui nodi dei corridoi TEN-T, la programmazione e la riforma del Governo sulla portualità e la riforma, ancora da definire, del sistema nazionale degli Interporti.
Si dovrebbe, peraltro, anche attentamente valutare, mediante analisi costi benefici, la costruzione di nuovi interporti, che deve essere concessa qualora dimostrata come assolutamente necessaria al sistema-Paese, piuttosto preferendo l’implementazione di politiche di incentivazione alle aziende per spingerle alla localizzazione entro infrastrutture già esistenti, nell’ottica anche di un consumo il più possibile virtuoso del territorio.
Azioni di filiera per il sistema interportuale
In parallelo, si potrebbe anche ragionare su un programma specifico di filiera per il sistema interportuale e le piattaforme logistiche, che non si limiti quindi ad incentivare i servizi intermodali, ma che, a fronte di una notevole concentrazione delle risorse, “costringa” gli interporti a sviluppare una progettualità condivisa e consistente, sulla base della quale realizzare contratti di rete. In questa ipotesi si potrebbero finanziare uno o più progetti organici ed integrati (il cui onere ricadrebbe sugli interporti) ed in cui potrebbero (o meglio dovrebbero) rientrare non solo i collegamenti intermodali tra interporti, o tra questi ed i porti o altre piattaforme logistiche, ma anche: interventi infrastrutturali per la risoluzione di bottleneck nell’ultimo miglio ferroviario; integrazione della promozione e del marketing; interventi di corridoio doganale; integrazione e standardizzazione delle ICT.
In altri termini, con questa “seconda via” si spingerebbero gli interporti stessi a sviluppare una visione di sistema, a superare i localismi, a scegliere i partner più rilevanti per definire un progetto vincente ed a promuovere collegamenti ed iniziative di integrazione forti. In pratica il piano dell’intermodalità lo costruirebbero gli interporti stessi sulla base di un framework delineato a livello centrale e così come accade per numerosi programmi europei, si andrebbe a cofinanziare una data percentuale dei costi di attuazione del progetto.
Tale soluzione, però, non risulta certo né semplice né di rapidissima implementazione: sarebbe necessario innanzitutto che il Ministero predisponga il Programma, le linee guida, l’organo di gestione, la call per i progetti ed i relativi criteri di valutazione; poi gli Interporti dovrebbero essere in grado di sviluppare una idonea progettualità in modo congiunto. Questa via è, per certi versi, tortuosa e, alla fine della fiera ci si potrebbe trovare addirittura difronte ad un nulla di fatto. Tuttavia è vero anche che il sistema interportuale deve fare uno scatto in avanti, deve dimostrare di avere anche le capacità progettuali e di visione necessarie affinché ingenti risorse siano ancora indirizzate verso di esso.
Gli Interporti, riformati in un disegno di Piattaforme logistiche Territoriali coerente anche con il quadro di riforma in via di definizione per le Autorità Portuali, possono e debbono diventare volano di investimenti per il miglioramento della competitività logistica del nostro Paese. Sinora, le società di gestione hanno operato in questa direzione indebitandosi, e si trovano ad affrontare un passaggio stretto proprio quando sarebbe necessario rilanciare gli investimenti per il rafforzamento della qualità delle reti e dei servizi. Richiedere ulteriori risorse alla finanza pubblica non è possibile, anche se va ricordato che la Germania, nel corso del passato decennio, ha investito ingenti quantità di finanziamenti statali e regionali nell’ammodernamento della rete delle piattaforme e dei terminali merci strategici per il Paese.
Una strada, che può consentire agli Interporti di finanziare gli investimenti senza dover appesantire una struttura debitoria già troppo gravosa, è quella di consentire la conversione della tassazione gravosa dell’IMU oggi pagata dagli Interporti in risorse da vincolare come destinazione agli investimenti per il potenziamento dei servizi interportuali e per la ulteriore infrastrutturazione delle aree già in proprietà degli Interporti stessi. Andrebbe defiscalizzata quella quota di IMU che viene indirizzata verso le casse statali, per non penalizzare in modo ulteriori gli enti locali che in questi anni hanno subito gravosi tagli nelle finanze locali e si trovano nella condizione di dover contare in modo imprescindibile dall’apporto che deriva per le politiche territoriali dalle risorse fiscali pagate dagli Interporti.
In questo modo, con una leva di conversione fiscale, si libererebbero risorse rilevanti ogni anno, che consentirebbero, già in tempi brevi ed anche con una programmazione di medio-lungo periodo, di generare un miglioramento nella qualità delle infrastrutture interportuali esistenti, a vantaggio della competitività del sistema logistico nazionale.
Una defiscalizzazione dell’IMU rappresenterebbe un sostegno alla ripresa di ossigeno finanziario per gli Interporti, sia per equilibrarne la struttura finanziaria sia per costituire volano per un piano degli investimenti solido e bancabile. Se ne gioverebbe l’intera struttura logistica nazionale, che in questo modo potrebbe contare su una nuova stagione di consolidamento e di miglioramento della rete dei servizi degli Interporti, capace di dare maggiore attrattività agli insediamenti nei principali poli logistici nazionali, con un effetto benefico anche sulla riduzione dello sprawl logistico che costituisce uno degli elementi che si sono determinati negli ultimi decenni per una politica urbanistica degli enti territoriali che ha favorito la disseminazione di capannoni sul territorio in cambio di oneri per la urbanizzazione.
Un aspetto importante di tale azione è che la defiscalizzazione qui descritta degli interporti costituisce di per sé una proposta sulla base della quale avviare una discussione per una possibile estensione ad altri terminali intermodali.
Interventi sulla rete ferroviaria e sulle connessioni di ultimo miglio
Interventi sulle direttrici di traffico e sui corridoi europei
Nell’arco di attuazione del nuovo contratto di programma tra Stato e Rete Ferroviaria Italiana devono essere realizzati quegli investimenti di adeguamento che riguardano i corridoi europei direttamente impattanti sul sistema logistico nazionale. La competitività dei servizi ferroviari merci dipende anche dalla qualità delle caratteristiche infrastrutturali, che devono rispondere a standard europei adeguati ad assicurare una capacità di produzione di treni lunghi e pensati tali da risultare competitivi verso il mercato.
Inoltre vanno attuati i necessari potenziamenti negli inland terminal strategici per la intermodalità (Milano Smistamento, Modena Marzaglia, Bari Lamasinata) ed i miglioramenti negli impianti ferroviari nei porti strategici, con una più efficiente gestione dell’ultimo miglio, che oggi condiziona pesantemente il ciclo della intermodalità marittima.
Come si diceva in precedenza, oggi siamo in presenza di una rarefazione dei collegamenti tra porti, interporti e principali piattaforme logistiche nazionali, con una dispersione dei volumi di traffico che certamente non favorisce la soluzione ferroviaria ed intermodale, la quale, per avere competitività, deve essere dotata almeno di due caratteristiche:
· generare economie di scala, indispensabili per ottimizzare i carichi ferroviari;
· creare connessioni su percorsi di media e lunga distanza, vale a dire laddove si esprime maggiormente il vantaggio concorrenziale della soluzione intermodale.
A queste due caratteristiche se ne aggiunge una terza, strategica per il nostro Paese, vale a dire superare quelle condizioni di produzione dei treni merci non adeguate ad esprimere un prezzo di vendita al mercato coerente con la concorrenza degli altri modi di trasporto. Questo squilibrio accade anche, oltre che per una politica di sussidi pubblici all’autotrasporto unita alla scarsa continuità di sostegno pubblico alla intermodalità, quale conseguenza del fatto che la rete marca oggi una debolezza strutturale rispetto al quadro comparativo della organizzazione del traffico merci europeo.
La rete ferroviaria nazionale deve essere dotata di caratteristiche adeguate alla massimizzazione della produttività dei convogli merci, in termini di sagome e profili, per consentite la formazione di convogli più lunghi e più pesanti, che rappresentano la condizione indispensabile per riequilibrare il sistema delle convenienze modali. Gli interventi previsti dal Piano Commerciale RFI per il breve-medio periodo vanno già in questa direzione.
A tale riguardo un focus specifico, con una chiara tempificazione, deve essere contenuta nel contratto di programma tra lo Stato e Rete Ferroviaria Italiana, in corso di discussione e di sottoscrizione. Soprattutto nei punti di interconnessione e di scambio internodale, oltre che lungo i principali corridoi comunitari, la capacità della infrastruttura deve essere in grado di assicurare la formazione di convogli merci coerenti con la capacità di ridurre il costo unitario di produzione.
Entro il nuovo asse politico definito dalla Commissione Europea, che distingue tra Core Network e Comprehensive Network, non solo vengono stabiliti ordini di priorità negli interventi, ma viene prestata particolare attenzione agli interventi di miglioramento della efficienza e delle connessioni nei nodi principali, per il traffico passeggeri e merci. Tale indirizzo comunitario impone di tenere presenti non solo gli investimenti nazionali sulla rete, ma anche le implicazioni derivanti dalla messa in esercizio di investimenti infrastrutturali operati da altri Paesi confinanti.
Gli adeguamenti delle sagome, dei moduli e dei terminali lungo gli itinerari principali al fine di migliorare gli aspetti prestazionali dei treni merci costituiscono fattori strategici per la ripresa di competitività del traffico intermodale. La normalizzazione a sagoma PC80 e la lunghezza dei convogli a 750 mt. lungo direttrici comprese nei corridoi europee rappresentano una condizione indispensabile per rendere europea la caratteristica prestazionale dei treni merci sulla rete italiana, così come gli interventi di ultimo miglio, essenzialmente nei porti, devono consentire di razionalizzare i costi delle operazioni terminalistiche che oggi mettono fuori mercato il costo della trazione ferroviaria e consentire la produzione di convogli capaci di massimizzare quelle economie di scala che rendono competitivo il trasporto merci per ferrovia.
Si tratta insomma sia di interventi strutturali sui corridoi, sia di interventi puntuali sui nodi strategici di sistema. In assenza di tempestività negli adeguamenti infrastrutturali, anche eventuali misure di incentivazione che possono essere assunte dal Governo si rileverebbero inefficaci, se non costituissero un ponte verso la razionalizzazione dei costi di produzione dell’esercizio del trasporto ferroviario merci nel nostro Paese.
Senza una visione di sistema continueremo a disporre di un patchwork a canna d’organo, che considera i singoli tasselli della catena logistica senza cucire organicamente i nodi di scambio con i corridoi, determinando inevitabilmente un collo di bottiglia nelle soluzioni intermodali, dal momento che è proprio dalla efficienza dei nodi che parte e si definisce la capacità e la competitività dei traffici intermodali.
Al fine di promuovere la piena integrazione della rete ferroviaria italiana nei corridoi europei, il gestore RFI sta portando avanti una serie di azioni di breve-medio periodo; il dettaglio della localizzazione degli interventi da Piano Commerciale RFI è riscontrabile nella Figura 14. Nella logica di integrazione di cui si è ampiamente detto in precedenza, è utile sottolineare che alcuni interventi sono specifici di miglioramento dell’accessibilità dei sistemi portuali.

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Pubblicato il
25 Giugno 2016

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