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Quel mega-progetto per Venezia con molti dubbi (e tanti sospetti)

Il presidente dell’Authority veneziana scatena la guerra tra i porti adriatici e la dura critica del presidente di Assoporti – Cinque anni per ricevere le mega-navi fino a 20 mila teu

VENEZIA – Sembra ormai certo che Venezia riceverà un mega-finanziamento di almeno 100 milioni di euro per realizzare ex novo un terminal contenitori offshore, con un provvedimento speciale che “sfora” tutto quanto il governo ha detto fino a ieri sul tetto di 70/80 milioni destinato ai porti italiani. Il finanziamento è già approvato sia dal ministero delle Infrastrutture sia, incredibilmente, anche da quello dell’Ambiente.
[hidepost]Secondo quanto si è scritto in questi giorni anche a livello dei due ministeri, il progetto prevede che il terminal in questione sia realizzato in tempi strettissimi, entro 5 anni, e punti a ricevere le mega-navi dell’ultima generazione, quelle di cui abbiamo scritto recentemente e che avranno una portata fino a 20 mila Teu. Ci sarebbe anche, nell’ambito del terminal, una specie di darsena specializzata per le super-petroliere, con l’obiettivo di diventare un punto di attracco per rifornire tutta l’area del nord-est europeo.
L’operazione sta mandando in fibrillazione almeno metà dei porti dell’Adriatico, compresi quelli della fascia costiera slovena che hanno da tempo stretto un patto di collaborazione e di crescita comune con Trieste e con il cluster marittimo che vi fa capo. Lo stesso presidente di Assoporti Luigi Merlo ha sparato a palle incatenate contro il presidente dell’Authority di Venezia (e consulente per la portualità del viceministro Ciaccia) onorevole Costa. “Ha utilizzato metodi discutibili – ha detto Merlo – senza consultarsi con Assoporti – ma sappia che con la politica delle scorciatoie personali non si va da nessuna parte”.
Costa a sua volta non sembra turbato dalla sollevazione contro il suo progetto. “Il terminal – ha detto – ci serve per far sopravvivere il porto di Venezia”. E c’è chi dice che pur di realizzarlo, Costa sarebbe disposto anche a drenare parte dei finanziamenti destinati al Mose. Si preannuncia dunque una lunga e “cattiva” guerra che probabilmente non si fermerà in Adriatico e coinvolgerà in diretta anche le istituzioni sia regionali che di governo centrale.

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Paolo Costa ha subito presentato la sua versione della vicenda scrivendo a Luigi Merlo di essere “esterrefatto delle Tue dichiarazioni che, purtroppo, scontano una totale ignoranza dei fatti.
“I 100 milioni della mitigazione Mose per il porto d’altura di Venezia – dice Costa – non c’entrano nulla con i fondi per i porti.
“Se nel 2016, quando il Mose si alzerà per salvare Venezia – continua Costa – non sarà operativa la prevista “struttura permanente di accesso”, il porto di Venezia dovrà chiudere. A questo fine si sarebbe dovuto adeguare la conca di navigazione prevista a Malamocco. Ma è evidente che la dimensione crescente delle navi non può essere rincorsa con continui ampliamenti della conca, nè con ulteriori escavi intralagunari incompatibili con il suo equilibrio morfologico.
“Il terminal d’altura è l’alternativa – meno costosa per lo Stato – che ci siamo impegnati a realizzare con finanze di progetto a partire da questo “segno” richiesto da investitori che devono decidere di impegnare su Venezia cifre dell’ordine di miliardi.
“E’ vero che – conclude Costa – ho cercato di trasformare una debolezza (il rischio di chiusura) in un asset (uno scalo con fondali da 20 metri e oltre), ma questo – se può preoccupare il presidente dell’Autorità Portuale di Genova – deve rendere felice il presidente di Assoporti”.

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Anche Pasqualino Monti, vicepresidente di Assoporti interviene (alla larga) sulla vicenda.
“Non è un futuro per i porti quello che chiediamo. E’ un futuro per il Paese, che senza porti efficienti e in grado di programmare uno sviluppo coerente con l’economia e il mercato, si autocondanna a allargare il gap logistico e competitivo che già lo penalizza nei confronti dei concorrenti europei e mediterranei. In questa ottica, oggi piú che mai Assoporti è chiamata a uno sforzo di coesione senza precedenti, presentando proposte concrete: serve un piano industriale della portualità italiana, con progetti, investimenti e fonti di finanziamento per ciascuna opera di ciascun porto e per le infrastrutture di collegamento a terra. Solo così si rimette in moto il Sistema Italia. Divisioni e dissapori vanno accantonati”.
Pasqualino Monti, presidente dell’Autorità Portuale di Civitavecchia e vice presidente vicario di Assoporti, ha lanciato un vero e proprio appello all’unità del cluster portuale italiano proponendo a tutti i presidenti dei porti un cambio di marcia che ponga l’Associazione nella posizione di poter presentare al governo una proposta globale, condivisa, di rilancio del settore.
“Con un paese che rischia ogni giorno di piú anche per carenze infrastrutturali – afferma Monti – di essere tagliato fuori dalle rotte del grande trade internazionale, dobbiamo diventare noi, presidenti dei porti, la chiave per superare contrapposizioni, campanilismi e tracciare consegnandolo allo Stato, di cui siamo emanazione diretta sulla linea del fronte della globalizzazione, un documento che definisca le priorità portuali e logistiche del sistema Italia. Un rapporto serio e strutturato che opera per opera analizzi, individui e verifichi la bancabilità, l’affidabilità, le ipotesi di collaborazione fra pubblico e privati e, in conclusione la possibilità di arrivare al traguardo dell’entrata in servizio e della redditività, che in un periodo di crisi come quello attuale rappresentano anche la chiave di volta della buona amministrazione”
“La cosa peggiore che possiamo fare in questo momento – conclude Monti – è dividerci mentre proprio i porti sono in condizione oggi, per il contributo che comunque continuano a fornire all’economia nazionale e al gettito dello Stato, di diventare la punta di diamante in una nuova stagione di gestione della cosa pubblica”.
A.F.

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Pubblicato il
21 Novembre 2012

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