Porti e cold ironing, solo parole?
È l’interrogativo di molti: l’EU spinge, gli armatori si dicono d’accordo ma con molti dubbi, sui porti italiani ci sono più che altro progetti ma ben poche realizzazioni operative. Come si chiede il lettore Franco C. da Livorno, il cold ironing è solo “green washing”?
Da Livornese che ha visto il clamoroso fallimento della prima istallazione di cold ironing in porto, costata un sacco di soldi ma mai utilizzata per mancanza di navi adatte, mi chiedo se stiamo di nuovo inseguendo le farfalle con i diktat di Bruxelles per impianti di energia elettrica in banchina – con relativa fornitura di corrente alle navi attraccate – o se davvero questa sarebbe la soluzione per evitare l’inquinamento alle nostre città…
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La domanda, caro Franco, non se la pone solo lei. Anche perché a differenza di quanto avviene in altri paesi anche europei – specie nel Nord Atlantico – la corrente elettrica che arriverebbe agli impianti di cold ironing viene prodotta in Italia da centrali che vanno ancora con carburanti fossili. Quindi si tratterebbe solo di sostituire l’inquinamento delle navi con l’inquinamento aggiuntivo delle centrali. Ovviamente le intenzioni sono buone, nel senso che si ipotizza di alimentare gli impianti di cold ironing con energia “pulita”, che però ad oggi rimane quella fornita dalle (poche) pale eoliche, peraltro fortemente avversate da una parte del mondo verde. Dobbiamo anche considerare, di contro, che siamo all’inizio di un processo che sta coinvolgendo tutto il mondo. E che richiederà tappe non certo ultra-veloci, specie in paesi come l’Italia che hanno alle spalle strutture più che centenarie, da convertire faticosamente: non certo come avviene in paesi dove gran di strutture come i porti sono nate da poco e quindi già proiettate sul futuro. Consoliamoci con un vecchio proverbio: con il sole e con la paglia, maturano le sorbe (e la canaglia)…
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