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Il Censis sull’economia del mare: orgoglio privato, ma il pubblico frena

Il cluster marittimo continua a dare un significativo contributo al Pil ma sconta la carenza di strutture – Intanto arrivano i cinesi per finanziare navi italiane da costruire a Jangsu Y.

Paolo d'Amico

ROMA – Nel paese di Machiavelli, si conferma un eccesso di diagnosi ma anche una carenza di terapie. E’ quanto emerge ancora una volta dal profluvio di “report” – da cui non va esente anche l’Unione Europea – che interessa la logistica, lo shipping, i trasporti marittimi. Con alcuni rapporti di pregevole ed aggiornato contenuto – si veda quello del Censis presentato ieri nella capitale, suddiviso anche per Regioni, nell’incontro al Cnel sull’”Economia del Mare” per la Federazione del Mare di Paolo d’Amico – ed altri troppo spesso carenti di aggiornamenti, o squilibrati per settore. E le terapie? Difficili per i privati lasciati da soli, vaghe e fumose quelle della parte pubblica. Si naviga a vista.

Nella seduta di ieri al Censis, come spesso accade, i troppi iscritti a parlare hanno pressoché impedito quel forte dibattito con il pubblico – costituito dal Gotha del comparto – che è sempre il metro dell’interesse concreto sui singoli argomenti.

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Interesse che ovviamente non è mancato sia per le relazioni che per il calibro dei relatori (iscritti Antonio Marzano presidente del Cnel, Corrado Antonini del gruppo Cavalieri del Lavoro, Francesco Estrafallaces del Censis e inoltre Mario Baldassarri (Finanze), Paolo Barberini (Confcommercio), Stefano Caldoro (Campania), Paolo Carcassi (Uil), Luigi Grillo (LL.PP. Senato), Costanzo Pecci (Confindustria), Carlo Lmbardi (Federazione del Mare), Giuseppe Roma (direttore Censis) e Tiziano Treu (Lavoro, Senato).

Sui dati, sulle proiezioni e in particolare sulle analisi scorporate per l’economia del mare nelle principali regioni – la Campania ha fatto la parte del leone, anche per la concentrazione di armatori che c’è in loco, ma sono state analizzate nei dettagli anche Liguria, Friuli-Venezia Giulia e Sicilia – il presidente della Federazione Paolo d’Amico ha concluso con un intervento articolato e realistico. Ci torneremo senza la pressione dei tempi di chiusura di stampa. Ma va anche ricordato che proprio di recente d’Amico si era espresso, in sede di Confitarma, sulla dicotomia dell’arrivo della finanza cinese, vista come “pericolo giallo” per la nostra cantieristica ma anche come “opportunità finanziaria” per i nostri armatori. Un memento, quello di d’Amico, che ha trovato subito conferma dall’arrivo ufficiale a Napoli di una delegazione della China Development Bank – con tanto di garanzia assicurativa della China Export & Credit – che si è offerta di finanziare l’ordine di grandi e modernissime navi al cantiere di Jangsu Yangzijiang. Non è stata né una visita di piacere – ha ricordato d’Amico – né tantomeno turistica: i cinesi sono pragmatici ed è stato molto pragmatico il broker locale Aldo Frulio che ha organizzato la missione. L’offerta finanziaria poi, in tempi di banche con il cappio alla gola, è di quelle da prendere al volo. Ma anche l’offerta tecnologica è eccellente perché il cantiere cinese è oggi tra i più grandi, strutturati e moderni, con progetti di navi “green” a ridotto consumo e ridotto inquinamento. A tremare, ha ricordato d’Amico, per adesso sono più che altro i cantieri coreani e giapponesi, perché le offerte cinesi riguardano portacontainers, tankers e rinfusiere. Ma nessuno si illude che tra poco toccherà anche alle grandi navi da crociera, che sono rimaste l’unico ricco boccone per i cantieri europei, in particolare italiani. E quasi a scongiurare il timore al quale tutti pensano, proprio nei giorni scorsi alla posa in bacino del primo blocco nave della “Royal Princess” a Monfalcone, l’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono ha ribadito che sarà “la nave più bella del mondo”. Da sperare fermamente che non sia anche una specie di canto del cigno della cantieristica italiana.

A.F.

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Pubblicato il
26 Ottobre 2011

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