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L’avv. Longhi: rovinosa persecuzione

LIVORNO – L’avvocato livornese Enrico Longhi ci ha inviato il seguente interessante contributo sullo scottante tema delle nuove gabelle ART.

Vorrei esprimere il mio parere sull’ulteriore gabella fatta piovere sull’autotrasporto e sulla logistica in generale con l’istituzione, nel 2011, dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti.

Per nutrire l’ennesima Authority, e la pletora di suoi dirigenti (13 con stipendi da 120.000 a 228.000), dipendenti fissi (90), dipendenti a tempo determinato (circa 10 con compensi complessivi per 160.000 circa) e collaboratori esterni (oltre 50 con compensi da 3.500 a 60.000), si è infatti deciso di non attingere alla fiscalità generale, cui ovviamente danno già largo contributo le aziende, ma di ricorrere ad un altro balzello gravante su tutte le aziende di logistica con un fatturato superiore a tre milioni di euro.

La norma iniziale aveva però lasciato ampi spazi di contestazione all’applicazione del tributo, tanto che la sentenza del Consiglio di Stato 1140\2021 ha sancito definitivamente la sua inapplicabilità a trasportatori e vettori fino a tutto il 2018, precisamente fino all’entrata in vigore della Legge 16 novembre 2018, n. 130, con la quale è stato purtroppo stabilito che non solo i gestori delle infrastrutture sono soggetti al pagamento del tributo all’ART, bensì anche gli utilizzatori, quali i trasportatori.

L’art. 126 di tale Legge afferma che il finanziamento dell’ART avviene “mediante un contributo versato dagli operatori economici operanti nel settore del trasporto e per i quali l’Autorità abbia concretamente avviato, nel mercato in cui essi operano, l’esercizio delle competenze o il compimento delle attività previste dalla legge, in misura non superiore all’1 per mille del fatturato derivante dall’esercizio delle attività svolte percepito nell’ultimo esercizio, con la previsione di soglie di esenzione che tengano conto della dimensione del fatturato. Il computo del fatturato è effettuato in modo da evitare duplicazioni di contribuzione”.

Le ultime sentenze del Consiglio di Stato hanno ribadito il principio, portando quindi l’attenzione sul concreto esercizio di attività regolatoria svolto dall’ART nei confronti dell’autotrasporto, questione che è quindi di mero fatto e necessita di accertamento caso per caso.

La sentenza del Consiglio di Stato n° 926 1\2\21 infatti espressamente afferma che “la platea degli obbligati non è individuata, come ritiene il rimettente, dal mero riferimento a un’ampia, quanto indefinita, nozione di ‘mercato dei trasporti’ (e dei ‘servizi accessori’); al contrario deve ritenersi che includa solo coloro che svolgono attività nei confronti delle quali l’ART ha concretamente esercitato le proprie funzioni regolatorie istituzionali”.

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Il discrimine per l’assoggettamento di una categoria al tributo è quindi che l’ART abbia concretamente esercitato (anche solo col compimento di attività istruttorie) le sue funzioni regolatorie nel mercato di riferimento, attività che presuppone il coinvolgimento delle associazioni di categoria, le quali sono pertanto necessariamente a conoscenza delle attività svolte.

Le associazioni di categoria, ad esempio l’ANITA, contestano però che l’ART abbia finora concretamente avviato, nel mercato di riferimento delle imprese di autotrasporto, l’esercizio delle competenze o il compimento delle attività regolatorie previste dalla legge. La circostanza non si sarebbe quindi mai verificata nei settori dell’autotrasporto merci conto terzi (e, secondo me, degli spedizionieri). L’ANITA afferma anche che tale circostanza non potrà neppure mai verificarsi in futuro visto che sia la normativa italiana (in particolare, il d.lgs. 286 del 21.11.2005 e ss. modifiche) che numerose pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, hanno stabilito in maniera inequivocabile che nei settori in rilievo vige il principio del libero mercato, che impedisce qualsiasi attività di regolazione da parte di soggetti terzi.

È prevedibile che il contenzioso prosegua, anche in sede europea.

Inutile dire che continuare a perseguitare gli imprenditori italiani con balzelli inesistenti negli altri paesi dell’Unione Europea non fa che contribuire alla loro marginalizzazione se non alla loro rovina.

Enrico Longhi

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Pubblicato il
17 Marzo 2021
Ultima modifica
18 Marzo 2021 - ora: 18:46

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