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Aldo Spinelli a tutto campo: l’Italia affonda, fateci lavorare

Aldo Spinelli

LIVORNO – Il Gruppo Spinelli, che parteciperà nei prossimi giorni alla Blue Economy Summit, è una grande realtà genovese che in 60 anni di attività ha sviluppato ogni segmento della filiera logistica seguendo il container dal suo arrivo in porto fino alla destinazione finale. Con circa 700 persone all’attivo il Gruppo, con le sue attività, è presente in tutto il territorio nazionale con terminal e centri intermodali. Parliamo nell’intervista che segue con chi ha reso possibile tutto questo: il commendatore Aldo Spinelli, da sempre, inoltre, impegnato a sostenere la comunità locale, e non solo.

Presidente Spinelli, il vostro intervento alla Blue Economy Summit su cosa sarà incentrato?

“Sulla necessità di realizzare le opere infrastrutturali che rappresentano la vita del porto di Genova che è il primo porto del Mediterraneo – o almeno potrebbe esserlo -; senza queste soffre tutta la portualità e Genova in particolare. Opere che aspettiamo da 30 anni: i lavori per la Gronda, un piano ferroviario adeguato, la nuova diga foranea.

La diga attuale fu costruita quando le navi erano lunghe 100-120 metri mentre le attuali arrivano a 350/400 con larghezze anche oltre i 60 metri; oggi il presidente della AdSP Signorini ed il sindaco Bucci lavorano insieme al progetto che una volta definito avrà bisogno di uno stanziamento dallo Stato, dal lato ferroviario le linee di collegamento al porto ed interne ad esso sono ferme ed il trasporto trova grandi ritardi per la tanto invocata Gronda: queste deficienze fanno perdere di competitività il nostro lavoro a tutto vantaggio dei porti nord europei distraendo molto del traffico del Mediterraneo che dovremmo invece naturalmente intercettare.

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A proposito di grandi navi: alcuni grandi saggi del settore, come Olaf Merk della ITF (OCSE), vedono nel prossimo futuro una inversione di tendenza per ritornare a dimensioni più contenute, con tutto ciò che questo comporta nell’assetto dei traffici; cosa ne pensa?

“Come gruppo, dal lato terminalista, preferiremmo che si tornasse a navi con una lunghezza massima di 300 metri sia perché in vari porti nel mondo – soprattutto in Sud America – le navi più grandinon hanno ancora possibilità di attracco sia perché queste grandi capacità fanno si che sia difficile assicurarne il pieno carico; di conseguenza il serrato tentativo di raggiungere questo obiettivo fa crollare il mercato delle tariffe. Se gli armatori producono perdite, tutta la catena logistica – terminalisti, trasportatori, spedizionieri, compagnie portuali – ne risente; ed è inevitabile il ricorso agli interventi a integrazione dello Stato. Quello Stato che, di fatto, prelevandoci attraverso la tassazione circa il 60% dei ricavi – senza nemmeno sbloccare le necessarie infrastrutture logistiche – è non solo il nostro “socio passivo”, ma permette anche un ulteriore vantaggio ai nostri competitor nord europei che già godono di una tassazione inferiore alla nostra del 30%. Le opere devono essere sbloccate subito, specie ora che sono promessi – anche se al momento sono solo parole – grandi stanziamenti dall’Unione Europea.

È di grande attualità il tema dell’autoproduzione…

“A mio parere l’autoproduzione andrebbe esclusa da tutti i porti italiani; occorrerebbe in questo senso una legge unificatrice europea, se non addirittura internazionale. Oggi nel porto di Genova il lavoro deve essere svolto dai portuali – cosa che ritengo anche giusta – ma si consente l’autoproduzione in altri scali che da esso distano solo 30-50 km creando così un inammissibile dumping nel settore. Su questo il governo dovrebbe provvedere. È naturale che gli armatori tendano tutti all’autoproduzione: imbarcando pochi marittimi in più a questo scopo evitano i costi delle compagnie portuali. Ma il risultato è che le compagnie perdono il lavoro e lo Stato deve sopperire a questa perdita. Occorre dunque una legge molto chiara: che approvi o non approvi l’autoproduzione. Se andiamo in Belgio o in Olanda, o in Germania, troviamo in atto l’autoproduzione e subiamo una concorrenza ingiusta. La stessa problematica si ripropone per quanto riguarda il rizzaggio sulle navi containers dove, analogamente, occorre uniformità di regole.

Dal lato ferroviario: voi siete una grande realtà anche sotto questo profilo; quali esigenze ha il settore e quali problemi ha registrato questo segmento del Gruppo nella fase Covid?

“Grazie alle Ferrovie dello Stato, dalle quali abbiamo avuto la massima collaborazione, anche nel periodo di allerta estrema abbiamo lavorato normalmente in Lombardia, in Veneto ed in Emilia. Abbiamo continuato a realizzare treni, poi abbiamo dovuto ridurli solo perché a mancare era la merce.

A livello nazionale occorrono più tracce ferroviarie e più raccordi interni ai terminal, soprattutto a Genova. Nel nostro terminal trent’anni fa avevamo 4 linee ferroviarie, ora ne abbiamo una e da adeguare ai 750 metri previsti per i treni. Peraltro mi risulta che i fondi ci siano, ma sia tuttora mancante il progetto di incremento dei binari per ogni terminal portuale: il progetto doveva inizialmente essere realizzato dalla AdSP mentre ora sembra che debba essere realizzato dalle Ferrovie. Quindi i fondi ci sono e manca solo la decisione su chi deve creare il progetto. Ci aspettiamo che decidano in fretta.

Quali iniziative e prospettive sul fronte della digitalizzazione?

“Proprio in questi mesi l’Autorità Portuale con il presidente Signorini si è attivata affinché vengano digitalizzati tutti i terminal della Liguria. E’ un’iniziativa veramente importante che permette di conoscere in anticipo il flusso dei traffici e programmare il lavoro in maniera ottimale prevedendo la squadra in più in ogni terminal, ma primarie restano comunque la sistemazione ferroviaria e la realizzazione della diga foranea; viceversa il porto di Genova rischia di scomparire entro pochi anni.

L’Europa oggi si è accorta di noi, sembra proprio per la prima volta: come imprenditore ha fiducia?

“Tutti questi miliardi che vengono citati dai media ogni giorno…noi ancora non abbiamo ricevuto niente e credo che arriverà quasi niente. E possiamo ritenerci fortunati perché abbiamo continuato sempre a lavorare, pur se con un calo tra il 20 e il 30%. Ma nei traghetti nel mese di aprile e maggio il calo è stato dell’80%. Questo la ministra De Micheli deve saperlo. L’Europa continua a parlare delle centinaia di miliardi che arriveranno, ma a quel punto ci saranno imprese ormai morte ed altre che non riusciranno a rialzarsi più. Le scadenze dei pagamenti si avvicinano; nessuna di queste è stata abolita. Ci aspettiamo dunque che esca urgentemente qualche decreto governativo che sblocchi subito le infrastrutture perché quel “socio”, che negli anni ha avuto da noi milioni e milioni di euro, in momenti come questo dovrebbe darci un ritorno. Nel solo caso del Ponte Morandi c’è stato un contributo per gli autotrasportatori: in quell’occasione il sindaco, il presidente della Regione, tutti, si sono mossi con celerità ed energia ed hanno trovato nel governo una risposta adeguata. Da luglio avremo disponibili i 1000 operai che hanno lavorato sul Ponte con la Fincantieri e con la ditta Salini: questi operai con lo stesso decreto utilizzato per Genova potrebbero essere impiegati nei lavori sia per la diga foranea che per il piano ferroviario creando così nuova occupazione. La ministra De Micheli dovrebbe decidere in questo senso dato che la disponibilità finanziaria c’è – viste anche le decisioni dell’Unione Europea. Non sono più accettabili ostacoli da parte politica e/o burocratica. L’Italia sta affondando: a settembre-ottobre dovremo capire quante migliaia di posti lavoro andranno perse e non si può pensare di attingere alla cassa integrazione all’infinito”.

Cinzia Garofoli

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Pubblicato il
24 Giugno 2020
Ultima modifica
25 Giugno 2020 - ora: 15:04

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