Coinvolgere i capitali privati nei porti è la sfida per salvare l’Italia sul mare
Gli esempi dei progetti di Trieste e Venezia ma anche la crescita delle Autostrade del mare e la speranza che gli “ecobonus” diventino una scelta dell’Unione Europea – Mezzo milione di Tir all’anno tolti con Ram dalle strade

Tommaso Affinita
GENOVA – L’ecobonus per i Tir che hanno scelto di viaggiare sul mare invece che sulle strade, si è fermato al 2009. Ma RAM (Rete Autostrade del mare) che lo ha gestito spera ancora in un “rilancio” per il 2010 e in un successivo inserimento del principio nelle normative dell’Unione Europea; che lo renderebbero valido anche su altri mari come il Baltico, dove i traghetti ro/ro (tra i quali gli italiani del gruppo Grimaldi) svolgono funzioni importanti come nel Mediterraneo.
Ne abbiamo parlato con l’avvocato Tommaso Affinita, noto esperto di problematiche portuali e attualmente amministratore delegato di RAM.
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Presidente Affinita, cominciamo con la liquidazione degli “ecobonus” maturati. Come siete messi?
“Siamo messi, a mio parere e per quanto riguarda la nostra gestione, piuttosto bene. In poco più di un anno di attività RAM ha liquidato sia il 2007 che il 2008 per oltre 110 milioni di euro all’autotrasporto merci che ha scelto le vie del mare. Attualmente stiamo operando per il 2009, di cui abbiamo già evaso quasi il 30% e contiamo di completare le pratiche liquidatori entro pochi mesi per circa altri 70 milioni di euro”.
Una bella iniezione di danaro, specie in anni di pesante crisi del comparto…
“Indubbiamente; e vorrei sottolineare che l’ecobonus ha aiutato direttamente l’autotrasporto, ma indirettamente è stato un forte aiuto anche per le linee di navigazione e quindi ossigeno agli armatori che hanno investito, credendoci, nelle Autostrade del mare”, perché ha spinto migliaia di Tir a utilizzare le loro navi”.
Può quantificare, approssimativamente, il numero dei Tir che le Autostrade del mare hanno tolto dalle autostrade della terra?
“Si tratta di 500 mila mezzi pesanti all’anno, e può immaginare quale sia stato il beneficio anche in termini ambientali, cioè di minori emissioni, oltre che in termini di sicurezza sulle nostre strade nei tre anni in cui l’ecobonus è stato finanziato. Purtroppo al momento siamo fermi al terzo anno, cioè al 2009, anche se il sottosegretario ai Trasporti onorevole Giachino si sta impegnando al massimo perché nella prossima finanziaria si recuperino risorse allo scopo”.
Sotto quali voci, visto che i bilanci sono, come lei sa bene, sotto il ferreo controllo di Tremonti?
“Ci sarebbero risorse precedenti rimaste inutilizzate da recuperare e altre da trovare nelle pieghe di vari bilanci. Non si tratta di grandi cifre, potrebbero essere sufficienti 40 o 50 milioni. In attesa, tra l’altro, che l’ecobonus diventi europeo, perché sappiamo che l’Unione Europea ci sta riflettendo sopra ed ha valutato positivamente l’esperienza italiana: che è bene ricordare essere al momento l’unica del genere”.
Anche perché unica, avrete dovuto inventare un sistema di gestione totalmente nuovo. Quali sono le caratteristiche operative di RAM?
“Mi vanto di poter dire che il nostro maggior “asset” è la snellezza operativa, per cui siamo riusciti a far tutto con meno di una dozzina di addetti, in particolare giovani laureati in economia che hanno saputo lavorare presto e bene”.
Torniamo alle Autostrade del mare; si è detto più volte che le eventuali criticità non sono tanto sulle navi e per le navi ma a terra, specie per i problemi della viabilità dei porti.
“E’ indubbio che per offrire un servizio valido, bisogna fare in modo che i camion entrino velocemente nei porti fino ai portelloni delle navi ed altrettanto velocemente ne possano uscire. E’ quello che si definisce il problema dell’imbuto dell’ultimo miglio: gli autisti non s’infilano in strutture che non hanno corsie veloci tra la rete autostradale e la nave, privilegiano le banchine dedicate, i porti con comodi spazi di sosta per i loro mezzi, con servizi sia alla persona che ai camion. Oggi il tempo è un valore nettamente superiore a qualsiasi altro, anche a quello tariffario. E su questo c’è purtroppo da lavorare ancora molto sui nostri porti”.
Secondo lei qual è la chiave per trovare una soluzione concreta?
“L’unica chiave che vedo è quella dell’autonomia finanziaria dei porti, che consenta di investire in strutture parte della ricchezza prodotta dai porti stessi. Altrimenti i nostri scali rischiano di rimanere al palo e di vedersi passare sotto il naso quel grande flusso di ricchezza e di lavoro che transita tra Suez e Gibilterra, con sempre maggior concorrenza non solo dai porti del Nord Europa ma anche da quelli che stanno velocemente nascendo sul Nord Africa”.
L’autonomia finanziaria, tutti la chiedono. Ma il Paese può fare a meno di risorse così importanti, come dice Tremonti?
“Autonomia non significa solo contare su risorse pubbliche: significa e deve significare anche coinvolgere finanziamenti privati, sia nazionali che no: e ce ne sono di disponibili, solo che si riesca a rivedere i criteri ancora oggi in auge di una vetro-demanialità dei porti dove dorata delle concessioni e impegni con gli investitori sono ancora fermi a regole del tutto anacronistiche. La funzione delle Autorità Portuali dev’essere quella di cabina pubblica di guida e programmazione, ma con il pieno coinvolgimento dei privati che investono e con il riconoscimento che chi investe deve avere remunerato il proprio impegno”.
E’ quanto si va dicendo da tempo nei vari Brain-Storm. Ma il tutto sembra fermarsi alle teorie…
“Non tutto: progetti concreti come quello appoggiato da Unicredit per la piattaforma logistica di Trieste e Monfalcone e quello di Venezia per un nuovo porto d’altura, hanno solide basi anche finanziarie che non gravano sulle finanze pubbliche. Ma occorre dare risposte, risposte complete e specialmente risposte veloci. E’ qui la nuova sfida”.
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