Infrastrutture: o di Francia o di Spagna…
LIVORNO – Faccio subito una premessa: non vi sorprenda che dedichiamo parte di questo numero – comprese le pagine interne – ai vari dibattiti che si sono svolti a Verona, in ambito Transpotec. L’abbiamo fatto non tanto perché crediamo ciecamente nelle promesse della classe politica, anche se ci piacerebbe farlo. Ma in particolare perché un pò tutti gli intervenuti del governo sembrano convinti che le grandi opere debbano ripartire, e che il non traccheggiare su Tav, direttrici Ten-T, strutture portuali adeguate al mercato eccetera sia indispensabile e urgente.
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E allora? Bisognerà proprio aspettare i risultati delle elezioni europee per rimettere in moto la macchina che oggi gira in folle? Su queste pagine non facciamo politica: ma qui è l’economia che impone di ripartire con i lavori indispensabili a superare il “gap” ormai palese sulle infrastrutture. I risultati elettorali di domenica in Sardegna hanno già fatto suonare qualche campanello d’allarme. Ricordo che secoli fa gli italiani, presi dalle guerre tra gli imperi, dicevano cinicamente: “o di Francia o di Spagna, purché se magna”. Mutatis mutandis, sempre filosofando in modo spicciolo, non vorremmo si ripetessero le cose.
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Qualche giorno fa Giuseppe Turani, lucido commentatore su un grande quotidiano nazionale, ricordava che se quando fu avviata la costruzione dell’Autostrada del sole l’Italia avesse aspettato di conoscere il rapporto costi-benefici, non se ne sarebbe fatto di niente. Allora c’era un’auto ogni cinquanta italiani, i camion erano pochi, l’economia della logistica ai primordi, la sfida enorme con centinaia di montagne da bucare, viadotti lunghissimi, spese lunari. Eppure i politici di allora gettarono l’anima al di là dell’ostacolo. E oggi l’Italia senza l’Autosole sarebbe impensabile. Così per i porti: forse ne abbiamo costruiti pochi e male. Ma fermarci invece di rimediare e di adeguarci al futuro – anzi, al presente – dello shipping sarebbe criminale.
Siamo davvero un paese in sfacelo? Sempre Turati ha ricordato un antico detto: non ci si ferma quando si diventa vecchi, ma si diventa vecchi quando ci si ferma.
Antonio Fulvi
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