Caccia commerciale alle balene: Giappone sotto accusa si difende
LONDRA – Non sono più i tempi dell’epopea di Moby Dick, ma c’è anche un buon carico di ipocrisia su tutti gli interventi che stanno coinvolgendo la stampa mondiale contro la decisione del Giappone di riprendere la caccia alle balene, uscendo dal club IWC (International Whaling Commission). Intanto il Giappone – ma insieme ad altre nazioni del nord Europa – ha continuato a cacciare le balene fino a ieri, con la foglia di fico dello “scopo scientifico”. E nessuno tra i governi mondiali ha mai avuto niente da dire. Poi vanno considerati anche i costumi storici di una cultura che della carne di balena ha sempre fatto uso; come da noi in Italia fino a pochi anni fa si mangiava come leccornia il prosciutto di delfino (musciame) senza grandi scandali.
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Tutto ciò premesso, l’uccisione in massa delle balene appare un genocidio e la condanna internazionale è arrivata comunque: con lo sdegno dell’opinione pubblica mondiale che aumenterà nei prossimi giorni, amplificata e drammatizzata. La notizia viene invece ridimensionata dai giapponesi, che si sentono incompresi e accusati ingiustamente: la caccia commerciale alla balena riprenderà per la prima volta dopo trent’anni – sostengono – ma limitandosi alle acque territoriali giapponesi e alla zona economica esclusiva, evitando le controverse spedizioni annuali nell’Oceano del Sud, una delle principali fonti di attrito diplomatico tra Tokyo e Canberra. La flotta del paese riprenderà le operazioni commerciali nel luglio 2019, come dichiarato dal portavoce del governo, Yoshihide Suga. Il quale sostiene anche che trent’anni di embargo hanno fatto proliferare le balene: e che i grandi e pacifici cetacei sono massacrati assai più dalle orche che non dai pescherecci giapponesi.
Suga ha detto che il Giappone informerà ufficialmente l’IWC della sua decisione entro la fine dell’anno. Ovviamente sono già sul piede di guerra tutti gli ambientalisti e in particolare Greenpeace, che contestano il punto di vista del Giappone per cui gli stock di balene si sono ricostituiti, osservando anche che la vita oceanica è minacciata dall’inquinamento e dalla pesca eccessiva.
Astrid Fuchs, responsabile del programma Whale and Dolphin Conservation, ha detto che quella del Giappone è stata una “terribile decisione” che potrebbe incoraggiare altri paesi a lasciare l’IWC. “Siamo molto preoccupati che possa crearsi un precedente e che altri paesi possano seguire la linea del Giappone e lasciare la commissione, specialmente la Corea del Sud, dove c’è un interesse a consumare carne di balena. La visione d’insieme che l’IWC stava avendo sulla caccia alle balene in Giappone sarà ora persa. Non sapremo quante balene stanno catturando, non sapremo come lo segnaleranno. Per alcune popolazioni potrebbe essere un vero e proprio castigo. C’è una popolazione in pericolo di balene Minke al largo del Giappone, che è già in pericolo”.
Erik Solheim, un diplomatico norvegese che è stato a capo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente fino all’inizio di quest’anno, ha detto che la decisione del Giappone di lasciare la commissione baleniera internazionale è “pericolosa” e in un tweet ha chiesto una campagna globale per sollecitare il Giappone a riconsiderare la propria decisione. La questione è ancora aperta, anche se il Giappone fa capire che difficilmente innesterà la retromarcia. E lancia qualche strale avvelenato anche contro le cosiddette associazioni ambientaliste, che della “difesa” delle balene avrebbero fatto un business raccogliendo contributi e sovvenzioni milionarie.
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