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Di venerdì in venerdì i rinvii sulla riforma

L’urgenza di dare un assetto alla logistica nazionale sembra frenata dai problemi di tenuta dell’esecutivo – “Balla” ancora il numero dei distretti – L’assemblea di Assoporti

Matteo Renzi

ROMA – Da almeno due settimane, di venerdì in venerdì, la presentazione delle linee di riforma della riforma portuale al consiglio dei ministri è slittata. Sembra sia di nuovo all’ordine del giorno di venerdì prossimo, ma nessuno ormai è disposto a scommetterci. Perché l’idea che si sta facendo avanti a livello di governo sarebbe che il premier Renzi e i suoi abbiano già troppe rogne da gestire, senza andarsene a cercare altre in un periodo così caldo a livello nazionale (scuola) internazionale (terrorismo) ed europeo (Grexit).
L’ipotesi che viene fatta, sia pure in chiave molto ufficiosa, è che per rispettare almeno formalmente l’impegno di presentare la riforma entro il mese saranno indicate alcune linee guida di carattere generale – compreso il principio che la “governance” del sistema avrà luogo da Roma, chiudendo un’era di interventi a pioggia dello Stato sulla base dei potentati politici locali – ma non si entrerà nei dettagli: specie in quelli relativi agli “accorpamenti” dei porti.
[hidepost]Un tema spinoso, sul quale si sono già scatenati tutti i livelli della politica, ciascuno ovviamente in difesa delle proprie autonomie. E con le Regioni a loro volta sul piede di guerra – anche quelle vicine alla maggioranza di governo (se ancora esiste) – per non essere tagliate fuori.
Attenzione: una specie di norma-grimaldello è apparsa, zitta zitta, nella relazione della riforma della Pubblica amministrazione (delega ministro Madia) presentata alla fine della settimana scorsa alla Camera – commissione Affari Costituzionali – da Ernesto Carbone (Pd). Vi si legge in un emendamento una specie di sintetica riformina delle Autorità portuali, “governance” compresa, con l’obiettivo di raggiungere una riduzione del numero delle stesse. Ma non si è capito fino a che punto si voglia incidere: se cioè sia solo un tentativo di introdurre il tema, aspettando le reazioni, o sia invece iniziata una lenta fase erosiva dell’attuale struttura.
Un punto sembra chiaro: parlare di accorpamenti in quattordici “distretti logistici” rappresenta solo una delle ipotesi sul campo, e a questo punto nemmeno la più probabile. In Adriatico la guerra tra Trieste e Venezia è già scoppiata, con lo schieramento dei grossi calibri (Debora Serracchiani per prima). Ravenna e Ancona si sono già svincolate dai due porti del nord (e si è quindi usciti dall’ipotesi di partenza degli otto “distretti”). Sul Tirreno si sta facendo tanto polverone sull’accorpamento ventilato tra Livorno e Civitavecchia, nel timore dei livornesi di finire sotto il gioco del “porto di Roma”; dimenticando che il governo non potrà ignorare la graduatoria europea dei porti “core” (e Livorno è “core”, come ha ricordato giorni fa il presidente di Confetra Nereo Marcucci, mentre Civitavecchia non lo è).
Ma il vero nodo dell’intera riforma oggi è di natura politica: con un governo oggettivamente debole per le tante fronde interne al partito di comando, innescare una riforma così rivoluzionaria come tutti chiedono – e come è stata a più riprese proposta, sia con il ministro Lupi che con l’attuale Delrio – diventerebbe quasi certamente il detonatore di altri scontri sul territorio. Cosa che né il Pd né tantomeno Renzi sembrano in grado di sostenere. I messaggi arrivati a Roma dalle periferie sono chiari: se riforma ci dev’essere, va concordata con le Regioni. Il che significa, quasi certamente, che dell’iniziale volontà di fare dei porti nazionali una rete strutturata da Roma e con Roma principale referente, non se ne farà di niente. D’altra parte il sistema di ricorrere ai commissari in attesa della riforma, se ha respinto provvisoriamente con un compromesso gli appetiti politici locali, alla lunga non potrà reggere, in un sistema mondiale della logistica dove nello stesso Mediterraneo realtà portuali non italiane corrono a spron battuto.
La soluzione? Delrio potrebbe voler prendere tempo fino alla seconda metà di luglio, quando è convocata l’assemblea di Assoporti. Ma difficile credere che voglia essere questa la sede perché il governo formalizzerà le proprie scelte. Ammesso, sia chiaro, che sul tema abbia davvero delle scelte.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
1 Luglio 2015

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