La riforma che tutti già riformano
I cento dubbi sull’attuazione pratica delle linee di trasformazione del “sistema logistico portuale” a fronte delle crescenti resistenze – Il Capitolo 5 della Costituzione

Graziano Delrio
ROMA – Come volevasi dimostrare, la riforma della riforma non piace, così come l’ha presentata il ministro Delrio nella prima informativa al consiglio dei ministri. E non piace specialmente ai riformatori: a quelli che volevano un numero minimo di “distretti logistici” (ne erano stati proposti 8, contro le attuali 24 Autorità portuali) e che sulla base degli elaborati dei 15 “saggi” di Lupi si erano spinti ad ipotizzare un sistema nazionale dei porti strettamente connesso alle reti TRN-T europee.
Parliamoci chiaro: il documento Delrio va alla pari con buona parte delle riforme renziane: che partono con grandi ambizioni di riformare, ma troppo spesso sono state frenate – o addirittura evitate – dal dibattito parlamentare o dai compromessi tra correnti politiche.
[hidepost]Anche l’attuale proposta di Delrio, con gli 8 distretti logistici diventati 14 (per ora) sembra talmente difficile da attuare praticamente che starne a discutere nei dettagli appare pura esercitazione dialettica. C’è chi si scalda sulla proposta di mettere insieme Gioia Tauro con Messina, due porti che non hanno niente in comune, tantomeno la geografia. C’è chi spara a pallettoni sull’ipotesi Livorno-Piombino-Civitavecchia, nel legittimo timore (per i livornesi) che le valutazioni politiche e partitiche di Roma capitale facciano sbilanciare il sistema sul porto romano, vantando invece la prevalenza di Livorno sui containers (ma forse dimenticando che nei ro/ro, altro traffico di grande importanza economica, Civitavecchia si sta facendo sotto). C’è chi considera una prepotenza di Debora Serracchiani, potente e vendicativa vice di Renzi (ricordiamo l’ostracismo che ha manifestato ed ha attuato nei confronti di Marina Monassi a Trieste) l’unione tra Trieste e Venezia, alla quale solo nell’ultima (per ora) versione Delrio è stato scorporato il medio Adriatico di Ravenna ed Ancona. E ancora: mettere insieme Genova, Savona e La Spezia? Troppi galli nel pollaio, con qualche legittimo dubbio anche sulla compatibilità. Chi deciderebbe sulle specializzazioni dei tre porti, chi imporrebbe loro di lasciare settori a vantaggio degli altri? Eccetera.
Qual’è la morale, ammesso che possa essere davvero morale? E’ che così come è venuta avanti da vent’anni in cento versioni, la definitiva riforma della legge 84/94 è ancora tutta da scrivere. Se ne riparlerà a settembre, ma si sa già che sarà di nuovo nell’ingorgo legislativo di altre e ancora più urgenti riforme. Come si sa che le Regioni, tutte le Regioni (comprese quelle “renziane”) sono pronte a scatenare l’inferno per difendere – sulla base dell’articolo 5 della Costituzione – le loro ingerenze anche sui porti nazionali. Tagliar fuori dai parlamentini portuali (effettivamente pletorici, pieni di conflitti di competenze, troppo spesso strumentali) i Comuni, le Province (che non dovrebbero esistere più e invece…) i sindacati, le categorie? E poi, nominare i presidenti da Roma, senza sentire il territorio?
Sarà una battaglia, lunga, difficile, anche carognesca. E che il governo – questo governo – ne abbia la forza (e alla fine dei conti anche la voglia) di affrontarla a muso duro, sono in molti oggi a dubitarne.
A.F.
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