Ormeggiatori e barcaioli dei porti: luci ed ombre sulla bozza di riforma
Una categoria che si è autoregolamentata per migliorare il servizio e contenere i costi ma sembra poco considerata nella “pagella” dell’UE – La formazione professionale e lo strano “congelamento” dell’ottimo testo elaborato dall’VIII commissione del Senato
ROMA – Alla vigilia della presentazione del piano strategico della portualità – questi perlomeno erano i tempi preannunciati prima che intervenissero le dimissioni del ministro Lupi – parliamo con il presidente di ANGOPI, l’associazione nazionale degli ormeggiatori e barcaioli dei porti italiani, Cesare Guidi, chiudendo così il ciclo delle interviste ai rappresentanti dei servizi tecnico-nautici che spesso sono al centro del dibattito, e che comunque rappresentano componenti fondamentali per la sicurezza degli scali. Ci servirà per entrare nel vivo delle situazioni completando la panoramica dell’informazione per una conoscenza senza preconcetti.
[hidepost]Cesare Guidi dal 2003 è a capo di questa associazione composta da 61 società cooperative presenti in 91 porti.
Spesso i servizi tecnico-nautici vengono menzionati in chiave critica quale concausa della scarsa competitività dei porti nazionali.
“Andrebbero sfatati alcuni miti: cominciamo dai dati. Le nostre tariffe dal 1991 ad oggi sono aumentate del 20%, nel frattempo la svalutazione si è mangiata l’80% del valore base. In questo spazio temporale siamo riusciti a mantenere inalterato il livello occupazionale ed abbiamo costantemente migliorato la qualità del servizio attraverso ripetuti corsi di formazione, di adeguamento ai processi tecnologici con una ininterrotta attenzione ai temi della sicurezza. Tutto ciò senza alcuna sovvenzione ma autofinanziandoci. Sempre rimanendo sui dati oggettivi è significativo come negli studi portati avanti dall’Unione Europea per giungere ad un regolamento sull’accesso al mercato dei servizi portuali e sul finanziamento delle infrastrutture attraverso audizioni agli stakeolder, nella “pagella del porto” si dà attenzione a tante voci formanti un lungo elenco dove nostra categoria risulta al penultimo posto, avanti solo a quella dei rompighiaccio! In definitiva questo ragionamento non vuole sminuire l’importanza del lavoro che svolgiamo, ma evidenziare che la competitività generale di un porto è data da contributi diversi che hanno un peso specifico ben superiore.
“Riguardo alle voci critiche provenienti dagli operatori nazionali rilevo che, nel 2007, quando si cominciò a parlare di riforma portuale, congiuntamente ai rappresentanti di quelle stesse categorie abbiamo sottoscritto un accordo interassociativo al fine di portare un contributo al legislatore. E quest’atto è stato adottato, poi votato ed approvato dal Senato e giace, purtroppo, ancora lì arenato. Proprio in questo documento i vari soggetti ci danno atto della centralità della nostra organizzazione e dell’efficienza del servizio che prestiamo in tutela del bene comune e degli interessi generali”.
Quali sono i vostri obiettivi e come siete organizzati?
“Efficienza, economicità e rispetto delle regole di accesso al mercato. Siamo una cooperativa formata da persone selezionate, che hanno superato il concorso e risultano iscritte nel Registro della Capitaneria di Porto. Ma al primo posto fra i nostri obiettivi c’è sicuramente la valorizzazione dell’uomo, insieme alla dignità del lavoro e allo sviluppo dell’attività umana. Quello che nessuno sa è che abbiamo un contratto di lavoro all’interno del quale ripartiamo il nostro salario ed al di là di questo non tratteniamo altro profitto poiché quello che eccede viene utilizzato per calmierare i nostri costi. Questo ci ha consentito tra le realizzazioni più significative, di investire sui corsi di formazione ed aggiornamento professionale e di concedere riduzioni tariffarie superiori al 25% come abbiamo fatto nel caso delle Autostrade del Mare. Sempre nell’ottica di agevolare l’utenza abbiamo concesso (unici fra gli operatori dei servizi tecnico-nautici) di lasciare inalterate le tariffe per tre anni anziché, come consuetudine, rivederle dopo un biennio. Lo standard dei nostri servizi è stabilito a livello ministeriale ed è frutto di un’istruttoria alla presenza di associazioni come Assoporti, Confitarma, Federlinea, etc. Il risultato è un algoritmo che include operatività, mezzi a disposizione, difficoltà del servizio. Le differenti caratteristiche di ogni porto rendono necessaria l’applicazione di diverse operatività che vengono stabilite dall’autorità marittima, a volte di concerto con quella portuale, e si riverberano quindi sulla tariffa locale. Rappresentiamo una precondizione per il buon funzionamento del porto e la validità del nostro modello organizzativo è dimostrata anche dal fatto che Rotterdam, riferimento d’eccellenza nel panorama dei porti europei, è prossimo a copiarlo fedelmente”.
Qual’ è il vostro parere sulla metodologia seguita per elaborare la riforma?
“Dalla bozza di riforma che circola, non ufficiale, che contiene molte inesattezze, l’impressione è che non ci sia vera consapevolezza della nostra posizione e ruolo, tanto che ad esempio si confonde addirittura il nostro status di cooperativa con quello di corporazione. Anche nella composizione del comitato degli esperti ravvisiamo la mancanza di soggetti che rappresentino prima di tutto chi del porto “si nutre”, questo ci preoccupa sia per la salvaguardia della categoria che per il venir meno di un nostro necessario contributo al miglioramento del servizio portuale.
“Allo stato dell’arte ci troviamo di fronte al valido disegno di legge dell’VIII commissione del Senato, concordato e definito, che è inspiegabilmente fermo in Ragioneria dallo scorso febbraio, mentre si progetta di ricorrere al decreto ministeriale facendo temere che l’operazione serva in realtà a mascherare dei cambiamenti che a questo punto possono solo crearci preoccupazione”.
Come possono incidere nella situazione le dimissioni del ministro Lupi?
“Nella gestione del ministro Lupi, in nome della spending review, abbiamo avuto all’interno del ministero delle Infrastrutture e Trasporti l’accorpamento delle due Direzioni (Porti ed Acque), quando invece il settore cui si riferivano dimostrava e dimostra nonostante la crisi buona salute rispetto agli altri; si è creata la possibilità di incidere sulle funzioni del Comando Generale mortificandone anche la progressione professionale; abbiamo avuto la creazione di un comitato di esperti carente della presenza di figure fondamentali rispetto ad alcuni importanti temi trattati. Oggi questo appare come la dimostrazione tangibile che ben altre cose erano prioritarie nell’agenda di questo ministero; questa parantesi si chiude e certamente dovremo vigilare sulla nuova”.
Cinzia Garofoli
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