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Maxi-navi: un rischio sottovalutato

Gian Enzo Duci

GENOVA – Il rischio non è nuovo: puntiamo il dito sulla Luna, ma lo sguardo non va oltre al dito. Traduzione: in Italia ci si scanna nella guerra fratricida tra porti guardando con priorità agli assetti politici (o peggio ancora, partitici) mentre nel mondo cresce la preoccupazione – ma crescono anche le strategie per farvi fronte – sul gigantismo navale che rivoluzionerà rotte, classifiche dei porti e anche tecnologie di sbarco e imbarco delle merci.
Sulla costa Est degli Usa – quella più impegnata nei traffici containers con il Far East dove oggi si concentrano le meganavi da oltre 12 mila teu – si sta arrivando al blocco delle banchine sia per le minacce di un devastante sciopero dei portuali, sia perché i grandi terminal di Los Angeles e Long Beach si trovano in carenza di strutture adeguate alle navi più grandi.
[hidepost]In compenso all’altra sponda del Pacifico, Cina ed economie emergenti del far East sviluppano porti nuovissimi dove l’adeguamento alle meganavi è previsto già in partenza: con un gap tecnologico ed operativo che rischia d’essere devastante per l’Occidente.
Il problema non è certo soltanto Usa. Si stanno preoccupando anche i grandi porti del Nord Europa, dove la saturazione è un rischio concreto. E un recente studio dell’Autorità portuale di Genova (vedi Il Sole-24 Ore di martedì scorso) conferma che nei prossimi anni gli armatori intensificheranno l’utilizzo di navi sempre più grandi, tagliando fuori i porti italiani che non hanno fondali ed attrezzature di banchina adatte.
“Nei prossimi tre anni – sottolinea lo studio – la classe più grande delle fullcontainers, quella delle unità da 13.300 a 19 mila teu, triplicherà sia il numero delle unità sia le disponibilità di stiva passando dall’attuale 5% della flotta mondiale al 15%”. Secondo il presidente degli agenti marittimi genovesi Gian Enzo Duci il lavoro sui porti rischia di cambiare radicalmente, mettendo in crisi molti scali medi. “Con una sola nave da 12 mila teu – ha detto Duci anche nel recente “Forum Shipping & Intermodal Transport” a Palazzo San Giorgio – i picchi di lavoro diventano ben maggiori che con due navi da 6 mila”. Le criticità aumentano anche dove sono disponibili fondali e portainer di banchina adatti, il che non è di tutti i porti. Il preclearing sta dando alcuni vantaggi operativi indubbi e lo stesso Duci l’ha ammesso: ma se non si adegueranno le infrastrutture portuali (fondali, gru e movimenti di banchina) e specialmente se non ci sarà davvero una razionalizzazione dell’intermodalità con ferrovie, treni dedicati, tempi di permanenze dei teu nei terminal ridotti all’osso, molti porti rischieranno presto una marginalizzazione. Compresi quelli che oggi in Italia stanno guidando le classiche.
A Roma ci si gingilla, a quanto pare, con i tempi lunghi della riforma portuale. Aspettando Godot, è ormai il commento degli imprenditori. Ma rischiando davvero grosso.
Antonio Fulvi

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Pubblicato il
22 Novembre 2014

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