Un deserto con il nome di pace
TRIESTE – Qualcuno lo sta sottolineando, abbastanza forte e abbastanza chiaro: ma in tutta la campagna stampa – qualche volta sgangherata – che sta montando per la prossima scadenza del vertice della Port Authority triestina, chi l’ha detto che si debba trovare per forza un nome nuovo?
[hidepost]Più diretto ancora: davvero l’attuale presidente Marina Monassi non potrebbe essere nominata per il secondo mandato, o nelle more incaricata del commissariamento?
Certo, nelle terne il suo nome non è (ancora) apparso. In compenso però sono stati proposti e subito bocciati altri candidati con un impressionante gioco alla rottamazione preventiva. Ricorda il famoso giudizio sulla “pacificazione” delle legioni romane: hanno fatto un deserto e l’hanno chiamato pace. Ovvero: prima distruggi tutto e tutti, in via prioritaria assoluta, poi si vedrà.
La verità vera è che sulla presidenza dell’Authority di Trieste, come anche su altre in scadenza ravvicinata, incombe l’incognita della riforma della legge 84/94. L’abbiamo scritto tante volte, ma giova ripeterlo: ad oggi tutte le varie versioni della riforma hanno forse un unico ma importante elemento in comune, l’eliminazione dello spesso inverecondo balletto della partitocrazia locale con le “terne” qualche volta assimilabili al mercato medioevale delle indulgenze ecclesiastiche. La stessa Debora Serracchiani (vedi in queste stesse colonne) ha ammesso che la politica deve fare un passo indietro dai porti: a meno che – sussurrano i maligni – la potente vicesegretario di Renzi e presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia non intenda, come spesso fanno i politici, “fuori tutti salvo me”. Diceva il divo Andreotti che a pensar male si fa peccato: ma quasi sempre s’azzecca.
Antonio Fulvi
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