“Dal petrolio al container” il libro di Bologna a Livorno
La tesi del noto studioso è che i porti non devono correre acriticamente dietro al gigantismo navale – I partecipanti all’incontro e le scelte locali

Sergio Bologna
LIVORNO – Un libro importante, su problematiche più che importanti: il nuovo gigantismo navale, questa volta nel campo delle full-containers (ma si sta riaffacciando anche quello delle mega-petroliere) e i riflessi di questa corsa sui porti, specialmente su quelli italiani. Così lunedì pomeriggio al Lem labronico il professor Sergio Bologna, nel presentare il suo ultimo libro, ha stimolato un intero porto (rappresentato da istituzioni, tecnici e operatori) ad esprimersi in merito. “Banche e crisi: dal petrolio al container” è il titolo del libro, con una intelligente e calibrata prefazione di Gian Enzo Duci, presidente di Assagenti Genova: il libro peraltro già ampiamente presentato su queste pagine perché Bologna sta facendo il giro dei porti italiani stimolando sul tema il dibattito e gli interrogativi.
[hidepost]Significativo che al Lem ci fossero, insieme all’autore e ai molti esponenti dei vertici del porto (il presidente dell’Autorità portuale livornese Giuliano Gallanti, il suo segretario generale Massimo Provinciali, il presidente della Cilp Enzo Raugei, il presidente di Confetra Nereo Marcucci) anche i vertici della politica locale: segno che il porto, a lungo considerato quasi un’entità scissa dalla città (e qualche volta “contro”) sta rientrando nel campo degli interessi della programmazione.
E il gigantismo navale? Come abbiamo giù scritto in altre occasioni per la presentazione del libro di Bologna, è largamente condivisa la sua tesi che correre dietro acriticamente al gigantismo con l’impegno di “giganteggiare” anche nelle strutture portuali può essere negativo, o anche peggio. Oggi si assiste, specie in Italia dove manca una programmazione portuale centrale (e dell’intera filiera della logistica) ad una serie di progetti di espansione portuale spesso l’un contro l’altro armati, con velleità a volte al limite dell’assurdo (terminal contenitori tutti nuovi a pochi chilometri da altri già affermati, la nota guerra delle crociere, etc) e sempre con risorse pubbliche pretese nel nome dei “patronati” partitici locali. Manca specialmente, come è stato fatto di recente negli Usa, una seria valutazione dell’utilità dell’impegno di risorse pubbliche: e non a caso proprio gli Usa hanno identificato per legge il tonnellaggio massimo delle navi ammesse nei loro porti, imponendo agli armatori che intendono eccedere l’onere di adeguare – se vogliono – le strutture portuali e le politiche economiche e logistiche connesse.
La morale finale, emersa anche dal dibattito, è che invece di correre acriticamente dietro al gigantismo, i porti storici nazionali, che hanno le note limitazioni anche fisiche, faranno bene a specializzarsi, puntando più che altro sui traffici trans-mediterranei e semmai a un feederaggio intelligente. Tesi già note, ribadite su queste colonne anche dallo stesso presidente dell’Authority portuale Gallanti (con gli accordi marocchini peraltro Livorno ha già fatto importanti passi in questa direzione) e che trovano nuovo autorevole sostegno dal libro di Bologna e dal relativo dibattito.
A.F.
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