Il “Vespucci” e il cerino di Barbera
LIVORNO – Sembrerà atipico, ma le sorti dell’interporto Vespucci di Guasticce si stanno giocando su alcuni fattori che non sembrano a prima vista in debita considerazione. Una definizione, prima di tutto: interporto, com’è ufficialmente da vent’anni, oppure retroporto, come sembrano chiedere alcuni dei più importanti soci della Spa.
[hidepost]Ed ancora: l’apertura agli (eventuali) capitali privati deve essere condizionata al mito sessantottino del potere al popolo (leggi: alle istituzioni cosiddette democratiche) oppure bisogna davvero aprirsi al mercato, creando le condizioni perché i grandi gruppi investano e portino lavoro?
Malgrado le dichiarazioni d’intenti che stanno faticosamente arrivando in questo caldissimo fine luglio che prelude alla chiusura di ogni attività pubblica – tutti al mare, a mostrar le chiappe chiare – la scelta non è stata ancora fatta. La richiesta dell’assemblea del Vespucci di mettere insieme altri 18 milioni di aumento di capitale per decollare, ha trovato una risposta d’ufficio della Regione, che ne ha promessi 3 o 4 (da valutare in che tempi arriverebbero realmente), una mezza risposta dall’Autorità portuale di Livorno che ha promesso a sua volta un milione tondo “se si definirà il ruolo di retroporto”, un no chiaro e motivato – qualcuno che parla senza nascondersi nel politichese c’è, vivaddio – della Sat dell’aeroporto di Pisa (non ci sono compatibilità né interessi reciproci) e tutta una serie di manfrine (tipo: davvero vorrei, ma non posso) da altre istituzioni territoriali che si richiamano ai disastrati bilanci. Come si vede, siamo ancora ben lontani dai 18 milioni richiesti: e anche se le Camere di Commercio di Livorno e Pisa decidessero di dare il loro contributo, non arriveremmo ugualmente alla metà di quanto richiesto.
Tutto questo significa, a nostro parere, solo una cosa: che il ruolo determinante nel futuro del Vespucci – chiamiamolo retroporto e non più interporto, anche se ci sarà poi da valutare come cambiare la ragione sociale, come definire la sua partecipazione all’associazione presieduta da Ricci di Bologna, come inquadrare i contributi pubblici nazionali che hanno ragion d’essere negli interporti – è ancora oggi in mano al Monte dei Paschi. Il quale Monte è di atto commissariato da Bruxelles, dove si sta valutando il suo piano di salvataggio. Pare che dal Monte siano arrivati segnali favorevoli – se Bruxelles approvasse – a una robusta ricapitalizzazione del Vespucci. Eppure solo un paio d’anni fa il Monte voleva vendere la sua quota, voleva venderla disperatamente. Alla luce di quello che si è visto poi, si può capire. Ma oggi siamo in un cul-de-sac assai più complesso: o il Monte sottoscrive l’aumento (ma con quali soldi?) oppure vende il suo circa 30% (ma a chi, con questi lumi di luna?). Per Federico Barbera, cui hanno messo in mano il cerino acceso, non sarà un’estate facile.
Antonio Fulvi
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