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Portualità e governo occasioni e problemi

Le perplessità sulle competenze dei nuovi responsabili e la richiesta di Assoporti di riformulare la riforma della 84/94 – Livorno e le illusioni delle grandi opere

Vladimiro Mannocci

Da Vladimiro Mannocci, già storico consigliere della Cilp e oggi dirigente di vertice dell’Associazione delle Compagnia Portuali ANCIP riceviamo questa analisi sulle problematiche portuali e locali.

LIVORNO – Mentre nel settore dello Shipping e della portualità stanno avvenendo grandi trasformazioni ed assetti che impongono nuove strategie operative e programmatiche, a livello nazionale continua una situazione di indeterminatezza dovuta anche al preoccupante quadro politico uscito dai risultati elettorali. L’insediamento del Governo Letta non risolve i problemi di incertezze e prospettive, non solo perché nel suo discorso non vi è stato nessun accenno a questi temi fondamentali e non solo perché il nuovo ministro Maurizio Lupi è un neofita per un settore così complesso e articolato come quello della portualità.
[hidepost]L’assetto complessivo del nuovo esecutivo, compresi vice ministri e sottosegretari, non lascia intravedere per questo settore competenze ed esperienze adeguate che magari il PD poteva mettere in campo per colmare i limiti sopracitati. Vi è poi la natura di questo governo che rischia di essere condizionato da questa o quella parte politica, così come dimostrato dalla discussione sull’abolizione o rimodulazione dell’IMU. E’ forte il rischio di un blocco in una fase dove nella portualità avremmo bisogno di interventi rapidi e mirati.
Il senatore Marco Filippi ha ripresentato il Disegno di Legge approvato nella scorsa legislatura dalla VIII Commissione, che non ha fatto in tempo ad essere approvato dalla Camera dei Deputati, ma già vi sono segnali, come quello lanciato dal presidente di Assoporti, Luigi Merlo, che dichiara la necessità del superamento di quel testo, secondo lui già superato dalle dinamiche economiche in corso. Rimane inoltre aperto il problema di una modifica del titolo V° della Costituzione, (competenze Stato/Regioni) più volte richiamata dal presidente Giorgio Napolitano nei suoi discorsi prima e dopo le elezioni politiche, senza l’approvazione del quale sarebbe inutile approvare una nuova legge, che rischierebbe di essere difforme dalla nuova Carta Costituzionale. Sul fronte legislativo possiamo prevedere tempi lunghi, anche forti dell’esperienza passata che ha visto naufragare in più legislature il tentativo di una riforma strutturale della L.84/’94.
Sempre a livello nazionale fatica a passare una visione nuova che metabolizzi i cambiamenti della crisi e faccia i conti con nuovi modelli di programmazione che dovrebbero essere adottati anche localmente. In pratica nei porti italiani, sono in cantiere una quantità smisurata di progetti che, ad esempio sul settore dei contenitori, produrrebbero un’offerta infrastrutturale di gran lunga superiore alle realistiche necessità. Su questi punti, come sull’illusione di poter realizzare nei porti italiani grandi infrastrutture utilizzando lo strumento del Project Financing si è rilevata la superficialità con cui è stato trattato questo problema, che spesso è servito da alibi per aspettare una manna che poteva cadere dal cielo, mentre a livello locale il mantra salvifico dell’utilizzo del Project Financing ha messo in luce l’ignoranza di alcuni amministratori sulla concreta possibilità di realizzare opere con questo strumento, creandosi alibi per giustificare le inerzie programmatiche e progettuali.
La drastica riduzione della spesa pubblica impone il superamento del concetto delle “Grandi Opere”, individuando alcune priorità, riprendendo la filosofia espressa nel Piano Nazionale dei Trasporti e della Logistica. Mi trovo pienamente in sintonia con quanto ha espresso il professor Sergio Bologna nei suoi ultimi interventi. E’ con questa chiave di lettura offertaci dalle sue teorie che a mio avviso dovremmo reimpostare un nuovo modello programmatico, organizzativo e sociale del sistema portuale italiano, a partire dalle maggiori realtà che invece continuano ad operare come se ci trovassimo di fronte alle crisi cicliche che abbiamo vissuto in questo trentennio.

* * *

Per quanto riguarda la realtà di Livorno abbiamo iniziato una discussione sul nuovo Piano Regolatore del Porto, basandoci più su suggestioni che non su basi e analisi economiche documentate. Infatti non esiste alcuna documentazione elaborata da soggetti autorevoli (Università, Centri di Ricerca ecc) in condizione di offrire una base minima per poter valutare quale Valore Aggiunto producono le diverse attività che vengono svolte nel nostro scalo, e conseguentemente poter scegliere degli indirizzi strategici, superando la fase di “emergenza permanente” a cui siamo ormai abituati.
Anche nella relazione annuale approvata nelle scorse settimane dal Comitato Portuale, si rileva come per il traffico di contenitori le performances negative non sono solo legate a fattori congiunturali, ma come vi siano altri fattori che hanno ulteriormente depotenziato la competitività del nostro scalo. Una recente intervista effettuata da una rivista specializzata (Ship2Shore) ad operatori nazionali del settore portuale, viene rilevato come solo il 6% degli intervistati ritiene che Livorno sia uno scalo affidabile. Sono anche questi segnali di un lento declino extra crisi, i cui esiti risiedono, a nostro parere, nell’aver sedimentato negli anni problemi su problemi, essendo mancata una politica di programmazione in questo ultimo decennio di governo del porto.
E’ chiaro non serve scaricare le colpe su singoli soggetti, ma senza un’analisi critica rischiamo di ripercorrere i vecchi sentieri. Infatti, molte decisioni o indecisioni che hanno abbassato il livello competitivo del nostro scalo in questo ultimo decennio, sono passate al vaglio dei vari Comitati Portuali, nelle quali sono rappresentate categorie sociali, imprenditoriali ed istituzionali. In questi anni abbiamo assistito anche ad un appiattimento dialettico che ha lasciato il posto a posizioni ideologiche. Tutto ciò è sicuramente dovuto alla crescita della categoria degli “adulatori”, che Dante Alighieri mette nell’Inferno: “Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso/vidi gente attuffata in uno sterco/ che da gli uman privadi parea mosso.”, mentre ne Il Principe, Niccolò Macchiavelli consiglia: “Non voglio lasciare indrieto uno capo importante et uno errore dal quale e’ principi con difficultà si difendano… E questi sono li adulatori, delli quali le corti sono piene; perché li uomini si compiacciono tanto nelle cose loro proprie et in modo vi si ingannono, che con difficultà si difendano da questa peste… Perché non ci è altro modo a guardarsi dalle adulazioni, se non che li uomini intendino che non ti offendino a dirti el vero” . Purtroppo l’adulatore è diventato un vero e proprio mestiere, specie in politica.
Ad esempio, “fuori dal coro”, continuiamo a pensare che il progetto di Piattaforma Europa in versione mega sia di difficile realizzazione ed inutile per quelle che anche ottimisticamente, possono essere obiettivi realistici di movimentazione di contenitori da qui ai prossimi vent’anni. Ammettendo di aver risolto i maggiori problemi infrastrutturali, dai fondali alle ferrovie, Livorno non movimenterà mai 3 milioni di TEU. Facendo un calcolo con la consueta formuletta che all’incremento del’1% di PIL corrisponde il 2,5% di traffici contenitori, a Livorno avremmo saturato questo ipotetico terminal nel 2085. Quindi di che cosa stiamo parlando?
Per definire una nuova “vision” condivisa dobbiamo anche avere il coraggio di esprimere delle valutazioni politiche sui fattori che hanno portato il nostro scalo alla progressiva perdita di competitività in questi ultimi anni; o è sempre colpa della Compagnia Portuale, con le sue presunte rendite di posizione, ad ostacolare la crescita e lo sviluppo del porto? Se dovessimo analizzare le rendite di posizione presenti nel porto ci accorgeremmo che la CPL è ultima in classifica, perché le vere rendite di posizione sono, sotto gli occhi di tutti, espresse da altri soggetti.
Un atto importante come la definizione di un Piano Regolatore del Porto, in una fase di crisi acuta, non dovrebbe limitarsi a puri esercizi geometrici di spostamenti di destinazioni d’uso di questa o di quella parte del porto. Dovremmo cercare di capire qual’ è il porto che vogliamo realizzare per il futuro, quale tipo di imprese vogliamo sviluppare, quale ruolo deve avere il mondo del lavoro al suo interno, quale tipo di innovazione di processo vogliamo sia sviluppato, quali mercati ci proponiamo di servire, come realizziamo quel legame con i mercati e con quali risorse.
Questi argomenti sono del tutto assenti nelle sedi e nelle discussioni politiche ed istituzionali locali, che si concentrano magari sull’utilizzo degli accosti 46 e 47 e spesso si ritrovano a fare solo gli “hooligans”, non tanto dell’interesse generale del porto, ma in difesa di questa o di quella impresa.
Sulla vicenda Alto Fondale/Crociere è stato raggiunto un importante accordo fra Porto di Livorno 2000 e CILP, sotto la regia dell’Autorità Portuale. Tale accordo è stato possibile quando si sono affrontati i problemi con lo stesso spirito con cui si sono trovate le soluzioni nei porti di La Spezia, Salerno, e presumibilmente anche a Carrara, cioè coinvolgendo il terminalista che ospitava le attività crocieristiche. Risolto il problema degli accosti, dovremo affrontare il problema della concorrenza che si è aperta con La Spezia e, prossimamente, con Carrara. In primis dobbiamo garantire che la Porto di Livorno 2000 non continui ad operare in settori “sensibili” come quello del Tour Operator, mettendosi in conflitto con gli stessi suoi clienti. I segnali sono stati forti e chiari e questo problema, se non risolto, rischia di vanificare la certezza di programmazione degli accosti come dimostrato dalle scelte di Iberia Cruseiros, le cui navi hanno dimensioni tali da essere accolte nell’attuale lay out in concessione alla Porto di Livorno 2000. Chiarito questo equivoco riteniamo che sia utile, anzi necessario, che le tre Autorità Portuali (Livorno La Spezia, Carrara,) attuino un net work in condizione di creare un’unica offerta fra i tre scali, evitando politiche di dumping tariffari, che sarebbero nocive soprattutto per Livorno. Prevenire è meglio che curare!
In termini generali il lavoro come perno fondamentale dello sviluppo è il grande assente nella discussione e nell’azione politica livornese. In questi anni abbiamo assistito alla involuzione degli assetti del porto, dove prevalgono fattori di dumping interno realizzato attraverso politiche di “price competition”, restringendo la già ridotta creazione di ricchezza che viene prodotta in porto, rispetto al resto della filiera trasportistica marittima e terrestre. La presenza in porto dei grandi Fondi Finanziari è solo stata registrata ma non sono state analizzate le possibili ripercussioni che possono essere prodotte con l’assenza di logiche industriali. La creazione di nuove figure quali “l’intermediatori di traffici”, sono state derubricate come effetti collaterali a fattori commerciali. Quando il politicismo prende il sopravvento sulla politica e l’ideologismo sulle idee si producono questi risultati. Ma abbattendo totem e tabù si possono riaprire gli spazi per cambiare rotta e non arrivare morti al momento in cui la crisi sarà superata.
Vladimiro Mannocci

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Pubblicato il
11 Maggio 2013

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