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Maneschi: capitalismo e chiarezza

Pierluigi Maneschi

TRIESTE – Sta seguendo da Taiwan le vicende un po’ surreali del “progetto Venezia”, ma certo Pierluigi Maneschi non si tira indietro a dire la sua. Che affida a una intervista ben a più ampio raggio al dinamico sito web Ship2Shore di Angelo Scorza di questi giorni.
Premettendo di essere pessimista sulla portualità italiana per la sua incapacità di concentrare investimenti e risorse, l’imprenditore livornese presidente di Italia Marittima (Gruppo Evergreen) e titolare della società di logistica TO Delta ricorda che i grandi liners risparmierebbero 5 mila miglia se invece di andare nei porti del Nord Atlantico europeo puntassero sul Tirreno o l’Adriatico. Ma non lo fanno perché nel range nordico trovano un modo portuale assai più avanzato, dove i paesi investono in non più di due o tre porti e le normative del lavoro portuale sono fatte per incrementare i traffici e non per contrastarli.
[hidepost]Mentre da noi siamo all’assurdo che dopo 18 anni di riforma portuale “la legge prevede che i terminalisti operino preliminarmente con proprio personale e solo per i picchi possano operare attraverso la fornitura di lavoro temporaneo (ex art. 17) mentre nel primo porto del paese avviene esattamente il contrario, con il risultato che non si creano lavoratori specializzati né fidelizzati alle aziende”. Su Assoporti Maneschi è lapidario: “E’ un’associazione politica e non tecnica e la legge 84/94 è ritagliata non sulle esigenze di chi opera sui porti, bensì su quelle di organi politici quali sono le Autorità portuali che di rado agiscono secondo lo spirito che la legge avrebbe dovuto e voluto avere, limitandosi cioè ad amministrare e promuovere gli scali”.
Sempre sul tema del lavoro, Maneschi spara sul contratto unico. “Si è voluto senza pensare alle conseguenze – sottolinea – ma Trieste è costretta a tariffe inferiori al 20% rispetto a quelle che possono praticare i terminalisti del Tirreno perché a pochi chilometri c’è Koper dove i costi in termini di energia, salati e in misura minore servizi tecnico-nautici sono significativamente inferiori”. Che Koper cresca, dice Maneschi, può essere un bene per tutti. Ma spaventa il ritmo: quando Trieste faceva 100 mila teu in Slovenia non ne arrivava uno: quest’anno Trieste chiuderà, seppure in crescita, a 420 mila e Koper a 660 mila.
L’imprenditore non lamenta solo le distorsioni della concorrenza. L’Italia dei porti sconta “una burocrazia impressionante” e una “totale disattenzione a livello delle strategie nazionali nel cluster. Il caso di Trieste, ancora una volta: da un anno il porto aspetta il piano regolatore, bloccato a Roma, né beneficia del porto franco pur operando prioritariamente estero su estero. Le dogane: hanno fatto sforzi di efficienza, ma il servizio “continua ad essere commisurato sulle esigenze di chi lo fornisce” e non di chi lo utilizza. Il monopolio delle FS è stato altrettanto pesante: “A Trieste Rail Cargo Austria, pubblica ma gestita per produrre, sta lavorando bene ed è il futuro verso la Russia: ma a Koper le compagnie operative sono cinque e i benefici sono evidenti”.
Concludendo, per quanto pessimista, Maneschi lancia un messaggio di realisno non distruttivo. Premesso che in Italia “di solo terminalismo non si vive” ed occorre fornire ai clienti “più servizi integrati”, occorre una politica che scelga pochi porti sui quali investire risorse pubbliche e private, liberalizzare al massimo, privatizzare le attività portuali per dare certezze agli investitori privati. In sostanza: siamo in competizione con paesi a sistema capitalista, noi che cosa vogliamo fare? Se lo siamo anche noi, non possiamo ignorarne le regole, come del resto fa la stessa Cina che – pur da paese socialista – gioca in campo internazionale con principi totalmente capitalistici. Lo si vede al Pireo, che da quando è in mano a Cosco “è tornato ad essere uno dei terminal più importanti del Mediterraneo”. Mancano, nell’intervista, giudizi diretti sulla “follìa “ del terminal off-shore di Venezia. Ma quando Maneschi dice che occorre scegliere pochi porti e specializzarli, la risposta è implicita. E anche l’amarezza.
A.F.

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Pubblicato il
24 Novembre 2012

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