L’ultima dal governo: Authority accorpate
La proposta lanciata dal viceministro Ciaccia in un convegno alla Camera – I tanti dubbi sulla attuabilità, sulle competenze e sui ruoli – Intanto Brindisi è commissariato

Mario Ciaccia
ROMA – La cannonata l’ha sparata il viceministro Mario Ciaccia in un convegno alla Camera: le Autorità portuali italiane sono troppe e frammentate, vanno ridotte creando quattro – o al massimo cinque – Authority di area, ovvero quattro super-Authority. Ciaccia le ha anche indicate: alto Tirreno (Savona, Genova, La Spezia, Livorno): alto Adriatico (Trieste, Venezia e Ravenna); medio Tirreno (Napoli e Salerno); medio Adriatico (Bari, Brindisi e Taranto); sistema Sicilia (Palermo, Catania ed Augusta). Ciaccia di suo ci ha aggiunto Gioia Tauro, scorporando questo scalo, da sviluppare come “hub”.
E’ bene essere chiari: di riduzione del numero delle Autorità portuali si parla da almeno quindici anni, pochi anni dopo la riforma portuale con la legge 84/94 che sta per compiere vent’anni senza che il parlamento e i veti incrociati della politica abbiano permesso un suo reale aggiornamento.
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Nel frattempo le Autorità portuali sono invece cresciute: quasi sempre tra beghe di partito, cooptando alla presidenza personaggi che con il mondo della portualità hanno avuto ben poco da spartire. I ministri a loro volta hanno “sparato” decisioni che sono state ribaltate dai Tar: ultimo atto, la bocciatura del presidente dell’Authority di Brindisi Hercules Haralambides da parte del Tar di Lecce, accogliendo il ricorso di chi aveva sostenuto che occorre avere la cittadinanza italiana per ricoprire la carica (e Haralambides non l’ha). Commissario – l’ennesimo, per i porti italiani – ormai in arrivo.
Nelle more della “spending review” delle Autorità portuali lanciata da Ciaccia, rimangono però molti buchi oscuri che il dibattito non ha chiarito. Intanto il primo, solito problema: ammesso che si faccia (per ora sono poco più che chiacchiere) con quali tempi? Non esiste una proposta articolata, non esiste una indicazione di legge, nessuno ha studiato seriamente gli effetti macroscopici ed economici dell’operazione. Poi: c’è da immaginarsi la rissa politica che ne deriverebbe, per spartirsi le poche super-presidenze. Poi ancora: con quali risorse vivrebbero le macro-Authority, visto che non si riesce nemmeno a “sganciare” il famoso 1% dell’Iva prodotta? Infine: e la riforma della riforma che fine farebbe, visto che non vi si ipotizzano certo solo i risparmi e gli accorpamenti?
Chi segue da vicino la realtà dei porti ha peraltro già sperimentato che ogni tentativo di creare delle macro-aree portuali è finito per fermarsi a una scatola vuota. E’ il caso dei porti della Toscana: Livorno, Piombino e Marina di Carrara, pur essendo a un palmo di chilometri tra loro e tutti nella stessa regione, non riescono a collaborare nella altisonante “Tuscany Ports” se non per qualche fiera insieme. E così via.
Insomma: l’impressione è che ci si sia fermati, come spesso accade, al brumeggio delle idee: buttate lì tanto per dire qualcosa, aspettando poi che qualcuno tolga realmente le castagne dal fuoco. Salvo che nel frattempo le castagne non finiscano in cenere.
A.F.
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