Protagonisti e vittime delle teste

Mauro Zucchelli
«Prima che cominciassimo a dragare il Fosso Reale nel cuore di Livorno per andare a caccia delle “teste” che si diceva Amedeo Modigliani avesse gettato nel canale, la Capitaneria mi chiese: ingegnere, è sicuro della tenuta statica delle spallette? I calcoli li avevo fatti e rifatti: nessun rischio. Non avevo previsto però le tonnellate, i milioni di tonnellate di “serpenti” che si occupavano di quel “nostro” artista perché in realtà erano interessati al controllo del mercato dei suoi capolavori». Michele Caturegli era nel luglio ’84 un giovane ingegnere del municipio labronico (fino a diventarne l’ingegnere capo). Se n’è andato per sempre nell’autunno di quattro anni fa: quando ha sentito avvicinarsi la resa alla malattia, mi ha chiamato nella sua casa di Ardenza. Un colloquio-fiume, dieci ore di parole e amarcord per una domanda: non avrei fatto meglio a prendere al volo la scusa delle spallette e dire che non potevamo farcela?
Vivendola dall’interno in prima persona, non ha mai creduto che fosse solo una burla innocente. Per più di un terzo di secolo si era tenuto in cuore quel grumo di dubbi, poi si è confidato con il cronista: dalle pareti della sua casa molte cose rimandano alla sarabanda planetaria per la “burla” di Modì. Profetico, il Vernacoliere titola: “Trovata una sega!”. Lui stringeva una enorme cartella con ritagli stampa dei giornali di mezzo mondo.
Parliamo di qualcosa dal valore economico gigantesco: i report di 15 anni di aste internazionali dicono che i capolavori di Modì sono passati di mano per 707,5 milioni di dollari anche soltanto limitandoci ai dieci di maggior valore. L’equivalente del Pil di stati africani come Gambia o Guinea Bissau.
Beninteso, la logica del “complottone” non porta da nessuna parte: le false teste le hanno scolpite i ragazzi (per una burla) e lo scultore Froglia (in una performance contro i soloni della critica d’arte). Fanno però capolino tre cose. La prima: il catalogo delle teste ritrovate fa riferimento a due esemplari anziché tre, colpa della fretta di stamparlo? La seconda: sono tre i ragazzi sotto i riflettori, in realtà c’era un quarto, altri due sono stati visti nel momento di buttare la testa e un altro aveva messo in moto lo scherzo ma poi era sparito. La terza: un uomo dalla finestra aveva visto i giovani gettare la testa nel fosso ma la sua segnalazione era caduta nel dimenticatoio…
Ricordo che Caturegli mi ha confidato che aveva intuito qualcosa prima di iniziare a dragare. Un esempio? La mostra spagnola che un ministro vuol portarsi nel proprio collegio elettorale, Dario Durbé lo stoppa perché temeva ci fosse qualche falso, – questo il filo rosso del suo ragionamento – ma mentre lui è all’estero altri funzionari danno l’ok. Il gruppo di esperti favorevoli alla mostra spagnola restituisce a Durbé l’attacco: aveva curato la mostra livornese e loro la contestano. Idem con la richiesta degli Archivi legali Modigliani di inserirsi fra gli organizzatori dell’iniziativa a Livorno: di nuovo Durbé a schierarsi contro.
Delle parole di Caturegli resta l’effervescenza di quei giorni. A cominciare da: 1) lo sciame di motorini che, al grido “ci rubano Modigliani”, circonda l’auto targata Pisa a bordo della quale era stata collocata la prima testa recuperata; 2) il rotolino “segreto” con le primissime foto delle teste che l’ingegnere si era rifiutato di vendere ai giornaloni per milioni e milioni; 3) l’assessore che a caldo dice “ci stanno prendendo in giro” appena Caturegli gli annuncia il ritrovamento della prima scultura. Ma soprattutto: 3) la capacità tecnica che era stata in grado di trasformare una ruspa in una draga-chiatta con i “denti” foderati, movenze delicate per non scalfire eventuali sculture.
L’andirivieni dei camion ha portato via tonnellate di detriti pescati dal fondo del fosso: davvero tante tonnellate, si pensi anche alle macerie della guerra. Le scaricarono quarant’anni fa nel terreno municipale fra il cimitero della Misericordia e il viale Boccaccio, ricordava Caturegli. Chissà, ora la leggenda amara di Modì potrebbe dire che è lì, fra le pietre scartate, che si celano i capolavori…
Mauro Zucchelli