Donne leader che fanno crescere le donne (nelle imprese)
Per lei la carriera super è meno difficile se il vertice è al femminile
LIVORNO. Gli “uomini che odiano le donne” non sono presenti soltanto nelle pagine del romanziere svedese Stieg Larsson, ce lo dicono le cronache. In tante aziende forse le donne non saranno odiate ma spesso non sono neanche “viste”. I vertici, in genere maschili, le rendono “invisibili” al momento delle decisioni sulla carriera: potrebbero esser distratte da incombenze di cura o dalla nascita di figli, potrebbero nascere chiacchiere. Risultato: fuori dal radar.
A leggere la realtà con occhiali del tutto particolari è una ricerca della Libera Università di Bolzano e della Stockholm School of Economics recentemente pubblicata. Dice una cosa semplice: là dove, in una azienda italiana, al timone c’è una donna come amministratrice delegata è più facile trovare figure femminili in ruoli apicali rispetto a quelle guidate da uomini. Di più: tale relazione – viene evidenziato – si indebolisce se l’amministratore delegato non dispone di sufficiente potere decisionale o se lavora per un’impresa familiare.

Marco Mismetti, docente della House of Innovation della Stockholm School of Economics
Marco Mismetti, docente della House of Innovation della Stockholm School of Economics e uno dei due autori dello studio, lo dice chiaro e tondo: «Anche se non possiamo dimostrare la causalità, i nostri risultati suggeriscono che le donne amministratrici delegate potrebbero essere più inclini dei loro colleghi maschi a portare altre donne a ricoprire ruoli dirigenziali di alto livello». Quale spiegazione si dà lo studioso? «Potrebbe essere plausibile che le persone tendano ad assumere persone simili a loro o che la presenza di una donna al vertice come amministratrice delegata incoraggi altre donne a perseguire ruoli di leader, ma sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere la validità di tali meccanismi».
La ricerca, pubblicata sul “Journal of Business Research”, è stata condotta così: con un questionario somministrato agli amministratori delegati di 153 aziende di varie realtà del nostro Paese: in 17 casi si tratta di imprese guidate da una donna, e questo – si sottolinea – «in gran parte riflette l’attuale disparità di genere nelle aziende italiane». Si tratta di realtà aziendali, attive nel settore manifatturiero o dei servizi, che come minimo abbiano 20 dipendenti sul libro paga. Tutte imprese italiane: il che significa che «i risultati potrebbero non essere applicabili ad aziende di altri paesi con altre culture».
Al tirar delle somme, i ricercatori hanno notato che la percentuale di donne nel “top management team” sia «in media del 21% più alta nelle aziende alla cui guida è una donna come amministratrice delegata. Sia chiaro, l’équipe che ha condotto lo studio precisa che l’indagine «non dimostra che le donne assumano più manager donne, ma solo che esiste un legame tra la presenza di un amministratrice delegata donna e una maggiore proporzione di donne nel top management».
Cosa può incidere in questa situazione? Gli autori hanno esaminato una serie di variabili: ad esempio, il grado di autonomia decisionale dell’amministratore delegato e, per dirne un’altra, se l’azienda sia a conduzione familiare o no. Risultato: il consiglio di amministrazione deve delegare almeno il 58% delle decisioni strategiche all’amministratrice delegata donna perché si abbia un effetto positivo sulla quota di donne nel top management. Al di sotto di tale soglia, se cioè l’amministratore delegato ha meno margine di manovra non esiste una reale correlazione statistica significativa.

Paola Rovelli, docente della facoltà di Economia della Libera Università di Bolzano
Dal questionario emerge anche un aspetto che riguarda le imprese familiari, quasi un’ottantina all’interno del campione analizzato (e dunque una consistente maggioranza): individuate sulla base del fatto che siano i membri di una o più famiglie ad avere in pugno «almeno il 50% del capitale». In questo contesto la presenza di una amministratrice delegata donna «non è legata a un maggior numero di donne nel team dirigenziale, anche quando la figura dell’amministratore delegato ha alti livelli di autorità decisionale».
A giudizio di Rovelli, prof associata alla facoltà di Economia della Libera Università di Bolzano, questi risultati suggeriscono che «non è sufficiente che una donna venga designata amministratrice delegata: ciò che fa davvero la differenza è se ha l’autorità per formare il top management e assumere decisioni strategiche. Le aziende familiari sembrano rappresentare una sfida particolare per le donne e potrebbero aver bisogno di sostegno nel riconoscere l’influenza delle dinamiche familiari sulle nomine alla leadership».