Sos crisi: ne ferisce più l’usuraio che il ladro
Il "cravattaro" della porta accanto (ma c'è l'aiuto dei centri d'ascolto)
LIVORNO. Non potrebbe essere più terribile il linguaggio burocratese che l’ha fatto denominare “Organismo di Composizione delle Crisi da sovraindebitamento” – in sigla, Occ – ma questo strumento della Camera di Commercio si è rivelato utile per tutelare una serie di soggetti in difficoltà: evitare che capitombolassero nella trappola dell’usura. Nel corso del 2024 sono state presentate all’Occ dell’ente camerale «oltre 100 richieste nella provincia di Livorno», come riferisce la nota messa nero su bianco al termine .dell’ultima riunione del coordinamento che si occupa di queste cose: coinvolti l’istituzione camerale guidata da Riccardo Breda e i centri di ascolto della provincia (una rete soprattutto all’insegna della Misericordia). La Camera di Commercio, l’ha avviata da tempo questa collaborazione – dal 2017 nella provincia di Livorno, dal 2020 in quella di Grosseto – con la Fondazione Toscana Prevenzione Usura (qui il link al sito) nella rete della Misericordie, alle quali si è aggiunto lo sportello di Cecina a cura della Fondazione nazionale Interesse uomo e presidio Libera, attivo in convenzione con il Comune di Cecina.

La sede livornese della Camera di Commercio della Maremma e del Tirreno
Sia chiaro, i centri di ascolto non ti mettono in mano un pacco di banconote per pagare il debito: sono volontari, che però possono dare una mano a trovare una soluzione con un piano che ai creditori proponga la ristrutturazione dei debiti oppure un programma di rientro. Chi si rivolge a questi centri? Consumatori, imprenditori minori, imprenditori agricoli, start-up innovative, lavoratori autonomi che devono fare i conti con debiti che li stanno strangolando., magari con banche, istituti finanziari o Agenzia delle Entrate.
Pochissime denunce, un mare di disperati
Ma per cento persone che provano a trovare il coraggio per uscirne ce ne sono assai di più che, al contrario, finiscono per sprofondare nell’incubo. Eppure, a stare ai dati ufficiali dell’Istat, le denunce in Toscana si sono quasi azzerate: tre in tutta la regione. A Livorno due denunce nel 2022; nella seconda metà del decennio precedente, una nel 2019 e due un paio di anni prima, ma per il resto, una sfilza di zero. Il migliore dei mondi possibili, no? Eppure l’indagine di “Sos impresa” (galassia Confesercenti) dice che sulla costa livornese dallo Scolmatore fino a Riotorto, isole comprese, segnala – come riferivo in una mia inchiesta sul “Tirreno” – «l’esistenza (nascosta) di ottocento disperati che non sanno più come cavarsela e, al tempo stesso, sentono su di sé la vergogna o anche la paura per ritorsioni e non vogliono rivelare la loro condizione».
Stanno nascosti con i loro guai, ma chi sono? Il report citato indica che in gran parte dei casi stiamo parlando di un piccolo imprenditore del settore commerciale, che si tratti di mobili o abbigliamento, di un fioraio o di un alimentarista, tanto per fare i primi esempi che capitano. Età? Principalmente tra i 48 e i 55 anni: e dunque realtà economiche abbastanza strutturate, non ci si riferisce a ragazzotti che hanno finito i soldi della liquidazione del babbo per aprire un negozio di chissà cosa pur di non star lì ad aspettare quel lavoro dipendente che non arriva, se non come lavoricchi precari.
Non hanno un volto le vittime dell’usura ma non ce l’hanno nemmeno gli usurai. La Direzione nazionale antimafia continua a predicare che le cosche devono reinvestire e “sciacquare” i soldi nell’economia lecita. Lo ripete anche l’associazione Libera: in una sua celebre inchiesta sociale, l’usura è vista come il “Bot delle mafie”, cioè un reinvestimento tranquillo – appunto come i pensionati, Bot-People del debito pubblico – per la valanga di soldi generati da narcotraffico e dintorni. Così facendo si infilano sotto la pelle dell’economia “normale” diffondendo la metastasi. L’ultima cosa che vogliono è dare nell’occhio: perciò, invisibili perché non interessa il controllo del territorio tanto più aggressivo quanto più esibito.
«Un iceberg, ma ancor più sommerso di quello di ghiaccio», l’immagine è quella. Anche perché accanto ai terminali dei clan c’è il “cravattaro della porta accanto”: come l’anzianissimo ex-qualcosa che non molto tempo fa è finito nei guai perché, siccome i soldi li prestava soprattutto a ristoratori, voleva non solo gli interessi ma anche pranzi gratis. Un’altra storia ha i contorni dell’odissea: la vittima che per anni e anni rimbalza fra un “cravattaro” e un compro-oro per avere l’illusione di salvarsi e invece ruzzola ogni volta ancora più giù.
Dietro la “tassa sulla speranza”
C’è qualche indizio che non lascia dormire sereni e beati. Ad esempio, la diffusione degli ingranaggi del gioco d’azzardo: capillare, soprattutto anche fra chi ha una certa età, fra slot machine, “grattini”, scommesse e via dicendo. Eccezion fatta per l’Irpef, non esiste una tassa così rilevante come quella sulla “speranza”: anzi, sull’illusione di far ripartire l’ “ascensore sociale” che per la grande maggioranza delle persone resta ora più che mai inchiodato lì, alle posizioni di partenza. È una “tassa” che non paghiamo all’ufficio imposte bensì alla macchinetta mangiasoldi o al venditore di grattini. Per farsene un’idea, per la sola provincia livornese il settore dell’azzardo – fra videolottery, gratta e vinci, lotterie Italia, scommesse e quant’altro – stiamo parlando di oltre 400 milioni di euro di spesa, a fronte dei quali al netto delle vincite il banco riesce comunque ad avere un guadagno di un centinaio di milioni. Se guardiamo all’intera Toscana, raggiunge quasi il miliardo di euro la differenza fra quanto si è buttato nella fornace del gioco e quanto invece si è vinto. Sia chiaro, non si vuol teorizzare che il grattino o la videolottery siano l’altra faccia dell’usura, ma quanti casi di dipendenza patologica dall’azzardo compulsivo si sono trasformati in indebitamento fuori controllo e comportamenti fuori dalle righe…
Nell’Indice di permeabilità alla criminalità organizzata (Ipco) stilato per il 2020 da un istituto di ricerca accreditato come l’Eurispes, ecco che Livorno figura al 53° posto: e questo dovrebbe tranquillizzarci. Ma fino a un certo punto: nella metà del Bel Paese che sta a nord di Roma appena 16 province se la cavano peggio. E fra queste, tre sono toscane: Massa Carrara, Prato e Pistoia. Tutte nella fascia medio-alta della vulnerabilità.
Uno su cinque si arrangia con prestiti extra-banche
Sempre dalle pagine di una recente inchiesta firmata Eurispes è possibile pescare le percentuali di una fragilità economica che apre le porte a guai ulteriori (stavolta però misurandoli su scala nazionale). La “radiografia” datata 2023 dice che «nell’ultimo anno» l’intervistato ammette di esser stato costretto a ricorrere al sostegno finanziario della propria famiglia d’origine in più di un caso su tre (36,8%, oltre cinque punti in più rispetto a cinque anni prima). E vabbè, finché si resta in famiglia: ma il 19,5% – cioè uno su cinque – siccome non è nelle condizioni di potersi rivolgere alle banche, è andato a farsi prestare i soldi da privati che non sono né amici né parenti. Un boom: due volte e mezzo quel che accadeva nel 2018. Tutti usurai? Sicuramente no, ma…
Non è l’unica sottolineatura: quasi raddoppiato (da 8,9% a quasi il 16%) il numero di quanti sono tornati a vivere nella casa della famiglia d’origine (o dei suoceri). Di più: uno su sei (16,8%) ha dovuto vendere o ha perso la propria casa, l’auto o la ditta; più di uno su quattro (28,6%) si è ritrovato a mettersi in pari con le bollette in ritardo; non molto differente è la musica per gli arretrati con le rate del condominio (23,5%); in oltre un caso su quattro (20,9%) non si è saldato se non in ritardo il conto della bottega sotto casa o dell’idraulico.
Delle due l’una: o queste percentuali non hanno un senso reale o sono una secchiata d’acqua gelata in faccia. Da tradurre così: ne ferisce più il “cravattaro” che il ladro o lo scippatore. Per avere un ordine di grandezza: il “mercato della paura” vuol spingerci ad avere il terrore che là fuori ci siano miliardi di ladri e banditi pronti ad azzannarci. Mica che sia il paese di Biancaneve, ma i numeri raccontano che in tutta la provincia di Livorno i furti in abitazione non sono più di tre al giorno, quelli nei negozi uno e mezzo al giorno, un paio di auto o motorini ogni giorno vengono rubati mentre le rapine in banca o all’ufficio postale otto negli ultimi cinque anni “fotografati” dalle statistiche Istat. Già le truffe e le frodi informatiche hanno una rischiosità perlomeno paragonabile al vecchio borseggiatore: 2.103 denunce in una sola annata (più qualche centinaio di delitti informatici); erano meno della metà, cioè 907, appena cinque anni prima…
Agli effetti della vulnerabilità al rischio usura forse quel che può farci intuire qualcosa è un indizio: le denunce per estorsione hanno scaraventato il territorio provinciale livornese in testa alla classifica nazionale riguardante l’annata 2022.
La vulnerabilità viene prima del “romanzo criminale”
Forse c’è da fissare lo sguardo su quel che avviene prima che la cosa prenda una piega criminale: vedi alla voce conti aziendali in rosso, magari profondo rosso. Dalla trincea di una organizzazione dell’imprenditoria artigiana come la Cgia di Mestre arriva una mappa provincia per provincia sul “numero di imprese affidate con sofferenze”: anche qui, i livornesi dovrebbero tirare un sospiro di sollievo perché alla fine dello scorso giugno si contavano 807 aziende in questa situazione di difficoltà, quasi il 4% in meno rispetto a dodici mesi prima. Figurarci che questo piazza Livorno fra le 18 province più “virtuose”. Anche Pisa mette a segno un analogo miglioramento: le imprese affidate e ora in grave affanno risultano 1.133, invece l’anno precedente erano 43 in più. A Lucca questo calo sfiora i nove punti percentuali e a Firenze supera i quattro. Meglio che in passato: ma, se le mettiamo insieme, entro i confini toscani, non ne avremo più 9.593 bensì 333 in meno. Si tratta però pur sempre di un esercito di 9.260 imprese che hanno il fiatone.
Il rischio di essere indifesi di fronte all’assedio degli usurai non è qualcosa che nasce stamattina: viene da lontano. Anche per Livorno. Basti ricordare che già una ventina d’anni fa il Centro Paolo Baffi dell’Università Bocconi insieme alla Fondazione Mattei aveva costruito una rete di parametri predittivi per individuare quanto i fattori di crisi potessero diventare vulnerabilità strutturale: fra le province a nord di Roma quella di Livorno figurava fra le otto province più esposte al rischio di vedere gli usurai, più o meno “della porta accanto”, inserirsi silenziosamente nelle pieghe più deboli dell’economia pulita.
Post scriptum: la Camera di Commercio segnala che i centri di ascolto della Fondazione Toscana Prevenzione Usura ricevono su appuntamento e in provincia di Livorno si trovano presso le sedi delle Misericordie a:
- Livorno (usuralivorno@libero.it);
- Castagneto Carducci (centroascolto@misericordiacastagneto.livorno.it);
- San Vincenzo (anche per Campiglia Marittima e Venturina prevenzioneusurasanvincenzo@gmail.com);
- Portoferraio (prevenzioneusura@misericordiaportoferraio.it);
- a questi si aggiunge a Cecina lo sportello di Fondazione nazionale Interesse uomo e Presidio Libera Annalisa Durante (areacentro@interesseuomo.org).