Le cifre dei porti italiani: una “crescitina” quasi zero, anzi meno
Dietro le quinte dell'interscambio con gli Usa: in arrivo gas e poco altro
LIVORNO. Seppur d’un niente o comunque di poco (più 0,5%), nei primi nove mesi del 2024 sono cresciute le tonnellate di merci movimentate nei porti italiani: oltre 362 milioni di tonnellate. Quest’incremento limitato è la risultante di un complesso di fattori: 4,7 punti percentuali l’aumento dei traffici container (91,1 milioni di tonnellate); a malapena un punto in più lo sviluppo di camion e semirimorchi spediti via nave, cioè ro-ro (oltre 93 milioni di tonnellate), più 2,4% l’andamento nei prodotti petroliferi (128,3 milioni di tonnellate). Completa il segno positivo l’andirivieni di passeggeri: soprattutto le crociere (più 7,2%, con 11 milioni di turisti) mentre si ferma a meno della metà l’incremento dei traghetti (più 3,1%, con 49 milioni di persone).
I numeri saltano fuori dal dossier firmato in tandem da Assoporti e da Srm, il centro studi della galassia di Intesa Sanpaolo e sostenuto dalla Fondazione Compagnia di San Paolo. “Port Infographics 2025” si chiama ed è una sventagliata di statistiche su porti e trasporti marittimi.
Tutti “più” eppure l’incremento complessivo è poco più di zero: come si spiega? A trascinare all’ingiù la percentuale totale, c’è un solo dato: è un arretramento abbastanza pesante e riguarda le rinfuse solide, giù dell’11,5% (36,3 milioni di tonnellate).
Resta da capire se dentro questa categoria la batosta nei traffici riguardi, ad esempio, una serie di materie prime industriali: non ci sarebbe da meravigliarsene poi troppo, visto che gli ultimi dati Istat diffusi pochi giorni fa segnalano che la produzione industriale è in calo per il 23° mese di fila. E complessivamente, su base annua, si registra un tonfo del 7,1%. «Solo ai tempi del Covid era andata peggio», chiosa il quotidiano confindustriale “Sole 24 Ore” (qui il link all’articolo, richiede abbonamento al “Sole”). C’è un solo settore manifatturiero con il segno “più” nel 2024: l’alimentare. Il resto è una Caporetto, e non ci vuol molto a immaginarlo: la Germania, primo mercato dell’export italiano è in crisi nera (e questo può in parte spiegare come mai l’indicatore dello spread sembri per noi positivo).
Vale poi la pena di segnalare un aspetto che sembra emergere da una nostra elaborazione informale in attesa di riscontro definitivo: a confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente i dati 2024 da Capodanno a tutto settembre, ma l’abbiamo fatta togliendo dal conto la categoria che comprende gas e prodotti petroliferi. Non è una alzata di ingegno: anche perché, in effetti, anche stavolta su questo puzzle di dati pesano i flussi di oltre 125 milioni di tonnellate di petrolio e gas: praticamente una tonnellata ogni tre calcolata nelle statistiche ufficiali. Non solo: stiamo parlando di una modalità tutt’altro che strana, anzi talvolta si usa perché per gas e petrolio la movimentazione portuale è solo un tubo e poco altro.
Risultato di questo ricalcolo: un’altra annatuccia così così per il sistema dei porti del Bel Paese. Da una “crescita poco più di zero” ecco che, petrolio escluso, le movimentazioni sulle banchine fanno segnare nei primi tre trimestri dello scorso anno una “crescita sotto zero”: niente di drammatico, ma segno negativo (meno 0,4%).
Fine della parentesi e torniamo all’indagine di Assoporti-Srm che valuta le prospettive con orizzonte 2028 per i traffici lungo la rotta fra l’Europa e il Nord Anerica (e viceversa). Lo studio prevede che nel 2028 dal Nord America saranno inviati in Europa e nel Mediterraneo 2,15 milioni di teu di contenitori (con un incremento del 16% rispetto al 2022). Sulla direttrice opposta, da Europa-Mediterraneo verso Oltre Atlantico, 3,66 milioni di teu (con un incremento del 7% in sei anni, che non arriva alla metà di quello proveniente dagli Usa). Già lo scorso anno e due anni fa si era registrato perfino una diminuzione dell’export europeo formato container con direzione Nord America.
La ricerca indica anche quali sono i porti più orientati agli scambi con gli Usa. Guardando al primo semestre, Livorno è sempre fra i primi: risulta al secondo posto alle spalle di Trieste sia nel 2022 (con 1,7 milioni di tonnellate) che nel 2024(con 1,01 milioni); nel 2023 è al terzo dopo Genova e Sarroch. Da segnalare che lo scorso anno anche Piombino figura sul podio: 931mila tonnellate. Nella statistica non è indicato ma potrebbe trattarsi in parte anche di gas in arrivo dagli Usa via nave.
A dare il destro per ipotizzarlo è anche il fatto che è di gran lunga l’oil & gas la tipologia di merce che il nostro paese importa di più via mare dagli Stati Uniti (3,7 miliardi di euro). Assai di più delle altre quattro tipologie più rilevanti sul fronte dell’import in Italia dagli Usa mediante trasporto marittimo: seguono i prodotti chimici (0,9 miliardi), l’agricoltura, caccia e pesca così come gli apparecchi meccanici (entrambi con 0,7 miliardi), materi prime secondarie e rifiuti (0,4 miliardi).
E l’export italiano verso i mercati al di là dell’Atlantico? Un quarto del nostro export che viaggia via mare è diretto negli Stati Uniti. È un flusso di merci che riguarda soprattutto: apparecchi meccanici (9,4 miliardi), alimentari e bevande (5,5 miliardi), mezzi di trasporto (4,3 miliardi), prodotti chimici (2,7 miliardi), metalli (1,9 miliardi).
Detto un po’ a spanne, si potrebbe intuire da qui tutto lo strillare di Trump sui dazi: l’export americano verso l’Italia non solo ha numeri molti più bassi ma soprattutto incredibilmente presenta in buona parte un identikit da paese in via di sviluppo, indizio di un apparato industriale modesto che può reggersi solo se protetto da barriere. Almeno per quel che deve viaggiare via mare, dunque non software e informatica.