Gli ancoraggi: con disastro che segue
ROMA – Un dettaglio se sembra di poca portata: eppure che è sempre importante e diventa determinante quando la barca non è più una barchetta ma è una imbarcazione di alcune tonnellate: ovvero l’àncora e l’ancoraggio.
Nell’esame di patente nautica, troppo spesso si affronta il tema soltanto sul piano burocratico: cos’è l’ancora, quanta catena bisogna dare rispetto al fondo, come tenere la velatura durante l’ancoraggio in una rada. La prova pratica, magari in un finale difficile? Quasi mai: anzi, praticamente mai.
Allora è giusto il richiamo di alcune scuole di navigazione a vela perché almeno durante le lezioni teoriche si approfondisca il problema tema. Non per niente nel consuntivo degli incidenti in mare con annessa predita dell’imbarcazione, la perdita di tenuta dell’ancora sotto improvvisi colpi di venti è tra i classici: a cominciare dal disastro dell’anno scorso del grande veliero “Bayesian” che, perduta la tenuta dell’ancora, è finito poi a fondo con la perdita di tante vite.
Riassumento una nota delle scuole vela: l’ancora deve essere di tipo appropriato al fondale e per una imbarcazione sui 10/12 metri deve pesare almeno una decina di chili. Su fondali rocciosi le CQR e le Danforth sono quelle a miglior tenuta, ma tendono ad incattivarsi e per essere sicuri occorre utilizzare un grippiale. Per i fondali sabbiosi la Danforth risulta la migliore. Per i gommoni fino a 6/7 metri vanno bene anche like ancore ad ombrello, purché abbiano le marre larghe. In tutti i casi, l’ultimo prezzo della linea d’ancoraggio deve essere di catena dal peso appropriato: e se il fondale è dubbioso, meglio mettere un peso aggiuntivo nel punto in cui alla catena si aggiunge la cima. Altra regola: l’intera linea d’ancoraggio dev’essere almeno quattro o cinque volte il fondale. Altrimenti può finire come nella foto che alleghiamo.