Paolo Vitelli: il Robin Hood del mare…

Paolo Vitelli
LIVORNO – Forse hanno ragione i filosofi dell’antica Grecia: gli Dei amano chi fanno morire ancora giovane. E Paolo Vitelli, morto come già è stato abbondantemente scritto per un banale incidente domestico, era ancora giovane: se non d’anni, certo di spirito.
Poco prima delle festività natalizie ci eravamo sentiti per telefono e gli avevo chiesto notizie sui lavori per il “marina” del Mediceo. “Mi avevi detto – l’avevo amichevolmente rimproverato – che in estate sarebbero cominciati!” E lui, con il consueto tono tra il paziente e ironico: “Beato te che non sei un imprenditore e non hai a che fare con diecimila piccole trappole, ognuna delle quali ne nasconde altre diecimila. Quando vengo a Livorno ti racconto, così possiamo farci due risate”.
Quel tipo di risate, caro Paolo, avremmo potuto farcele infinite volte nei trent’anni della tua avventura, da quando nel 2003 comprasti per 50 milioni il relitto dal glorioso Cantiere Navale Orlando. Alla fine dei vari passaggi societari, anche in società con il Comune, ti eri riprovato con la “Porta Medicea” un valore di 300 milioni e il via libera per il più grande, moderno e ben collocato “marina” del nord Tirreno. Valori, certo: ma quanta pazienza, quanti sgambetti dati e ricevuti, quante promesse fatte, ricevute e tradite, quanti inchini – sempre rispettosi, ci sapevi fare! – alla grande politica, partendo dalla stessa presidenza della Repubblica del livornese Ciampi!
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Ho potuto seguire, io che non ho avuto lo stesso amore degli Dei, tutta la tua avventura livornese, spesso intervistandoti, spesso incazzandomi per i tuoi distinguo a posteriori (“Non ti avevo detto così” /Guarda che ho la registrazione/ “Ma mi hai messo in difficoltà, torniamoci sopra per ammorbidire”) che erano però sempre cortesi e in definitiva anche comprensibili. Non era uomo di mare, anzi veniva dalla montagna e continuava ad amarla. Ma aveva capito alla perfezione quello che gli uomini – e le donne – vogliono quando hanno la potenza del denaro: il simbolo della loro ricchezza. Magari con una bandiera ombra, ma sempre simbolo visibile ed ostentabile. Così gli Azimut cominciarono ad andargli stretti, ed ecco i Benetti, i giganti, i “monster” alla latina, ultrafirmati, ultrarredati, ultratutto. Oggi al mondo ci sono mega-yacht anche più grandi dei Benetti, ma non hanno il blasone dei suoi. E Paolo non era attento solo a chi ordinava queste sue “barche”, ma anche a chi le costruiva. Una volta, mentre guardavamo insieme una squadra dei suoi operai all’opera, mi disse serio serio: “Vedi, io sono una specie di Robin Hood: prendo i soldi ai ricchi per far lavorare i poveri”.
Ciao Paolo, non avercela con me se ho scritto di te come essere umano: e non – insieme a tutti gli altri delle migliaia di condoglianze – come grande imprenditore. Lo sei stato, un grande e intelligente imprenditore. Ma eri grande anche come uomo, per quanto io sia stato in grado di capire e di capirti.
(A.F.)
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