Trading mondiale adeguarsi al Panta Rei?
LIVORNO – Diciamolo con franchezza: in quello che appare oggi un marasma di fattori ingovernabili nell’economia mondiale e di conseguenza nel trading anche sul mare, i rischi dei grandi canali – Panama e Suez ma non solo – rappresentano forse il meno.
- Una rotta alternativa del Polo Nord?
- La ex Via della Seta, oggi in evoluzione verso un compromesso per integrarla con la via dell’India?
Il problema vero oggi è che si sta modificando, in modo accelerato, il panorama dei paesi produttori delle merci più richieste, di massa e non.
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L’Europa in questo senso è ormai più che altro un pigmeo economico, malgrado la millenaria storia dei nostri magnifici artigiani e imprenditori privati. Ma ci siamo abituati, come dicono i tanti istituti d’analisi, ad avere dal resto del mondo tutto o quasi ci serve di largo consumo a basso prezzo. Stiamo piangendo per il blocco del grano russo ed ucraino, quando rappresenta meno di una frazione minima (nemmeno il 6%) del prodotto mondiale. Stiamo sbraitando (giustamente) sui prezzi esagerati dei carburanti fossili quando potremmo essere in Italia quasi autosufficienti per le riserve che esistono – greggio e specialmente gas – sul territorio e sotto le nostre coste.
Perché era facile chiudere gli occhi sui danni ambientali delle estrazioni se avvenivano lontano dalle nostre coscienze.
Spendevamo meno anche se erano, ambientalmente parlando per eccesso, soldi “sporchi”? Pecunia non olet, non solo per gli antichi.
E sempre per dirla con gli antichi: Panta Rei, tutto cambia, volendo o non volendo.
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Buona parte dei nostri mali, dunque, è dovuta alla fatica per adeguarsi – economicamente, come mentalità e come infrastrutture – al cambio del panorama mondiale della produzione delle merci.
Amici esperti mi facevano notare che ci lamentiamo tanto dell’asfissia vera o presunta dei nostri porti – ben 54 nell’ambito dei 16 sistemi italiani – ma come possono decollare scali che da anni sono inchiodati a un traffico di 50 milioni di tonnellate annue, con alti e bassi ma mai prospettive di sfondare? La governance è carente? Forse le AdSP si sono sovraccaricate di personale e costano, ma trasformarle in Spa sarebbe solo aprire a vendere ai grandi gruppi mondiali, come è avvenuto in Grecia con il Pireo? E i terminal container dei porti e retroporti, non sono anche in Italia spesso compartecipati – almeno – dai grandi gruppi?
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C’è una morale in queste chiacchiere, in questo sfogo?
Ogni governo da anni ed anni si picca di riformare le riforme portuali e sulla logistica. Ogni volta c’è un morso o un morsetto per sburocratizzare, velocizzare, innovare. Ma molti oggi si chiedono se esistono davvero, là dove si puote, le competenze reali.
A voi, ecco un’altro tema su cui elucubrare.
(A.F.)
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