La Marina e l’Economia del Mare
CIVITAVECCHIA – Una volta tanto, la location per un convegno sulle “Vie dell’acqua” è stata una nave: per l’esattezza nave Cavour, la portaerei portabandiera della nostra Marina Militare.
All’ormeggio nel porto di Roma, a bordo di nave Cavour si sono sviluppati i temi concreti intorno al titolo completo: “Le vie dell’acqua: nuovi spazi economici per l’Italia del mare”.
Ne hanno parlato, come hanno riferito i grandi media, il presidente di Confindustria 👤 Carlo Bonomi e l’ammiraglio di squadra 👤 Enrico Credendino, capo di Stato Maggiore della 🚢👮♂️⚓ Marina Militare.
Significativo che le parole sull’importanza della Marina anche come portabandiera dell’industria navale italiana siano state affiancate dai fatti: a Singapore Confindustria ha aperto di recente una sua sede e a far bella mostra in banchina la fregata “Morosini”, una delle navi militari più moderne al mondo. Una nave che sta già raccogliendo ordini per i nostri cantieri, a conferma di quanto il lavoro sul mare e per il mare sia apprezzato anche all’estero.
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A sottolineare l’importanza del tema la paginata intera che Il Sole24Ore ma anche i quotidiani generalisti hanno dato all’evento. Perché sono i dati concreti a parlare degli spazi economici per l’Italia del mare. Intanto Confindustria ha certo una struttura, affidata a un vicepresidente, per lo sviluppo dell’economia del mare: fa da specchio e supporto alla definizione, finalmente, di un Ministero per le Politiche del Mare.
Solo buone intenzioni?
Bonomi ha portato cifre: 6⃣0⃣0⃣ miliardi di export italiano nel 2022, il 9⃣0⃣% dovuto all’industria avanzata manifatturiera, con investimenti massicci delle aziende sia pubbliche ma specialmente private nel campo.
Fincantieri è la prima al mondo per le navi da crociera ma anche in campo militare e specialistico con Yard.
La Marina Militare ha circa 3⃣0⃣ mila tra donne e uomini tutti di buona – e spesso altissima – specializzazione. Entro il 2040 – ha detto Credendino a sua volta – la flotta militare italiana sarà totalmente rinnovata: e l’8⃣0⃣% di quanto viene investito per costruire navi è rappresentato da posti di lavoro, e contribuisce direttamente a far crescere il PIL. L’industria del mare in Italia conta 2⃣0⃣8⃣ mila imprese con quasi un milione nei addetti. Non basta? Il valore aggiunto totale è di 1⃣3⃣7⃣ miliardi di euro, con un moltiplicatore di 1⃣,9⃣. Siamo ai livelli del mega-prestito della UE all’Italia, ma questi sono valori tutti nostri e non da restituire, anzi da sviluppare. Insieme all’industria navale dei mega-yacht, con il suo indotto di altissimo artigianato, l’Italia nel campo non ha (ancora) rivali, ma il mondo dell’economia corre e l’Italia non può fermarsi sugli allori.
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C’è infine un risvolto importante sulla sicurezza nazionale.
Come hanno ricordato sia Bonomi che Credendino, il Mediterraneo è teatro del 2⃣0⃣% dello shipping mondiale, del 2⃣7⃣% del traffico dei container, del 3⃣0⃣% dei transito di gas e altri combustibili. I fondali del Mediterraneo sono una ragnatela di tubazioni sia per il gas che per il petrolio ma anche per le reti internet, senza le quali l’economia si fermerebbe di colpo. Sono reti che rappresentano le arterie vitali, ma anche il tallone d’Achille: come si è visto nella sciagurata guerra tra Russia e Ucraina nel mare del Nord, sono reti facili da intercettare e da sabotare. Far la guardia – e farla armati – è indispensabile. Quanto a chi sventola le bandiere della pace in corteo, dovrebbe ricordare che dall’industria delle armi in Italia dipendono decine di migliaia di posti di lavoro. E che le armi di per sé non sono buone né cattive: dipende da chi e da come le usa. Ma una nazione disarmata è di per sé una nazione schiava.
(A.F.)
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