Donne, dirigenti per legge?
Un lettore M.M. che si definisce “matusa”, ovvero anziano, ci ha mandato la seguente mail, chiedendo di firmarla Matusalemme:
È vero, sono un vecchio brontolone: ma tra le tante norme assurde che vedo svilupparsi nel mondo, oltre alle chiacchiere inconcludenti alla TV sugli argomenti che interessano solo chi parla, contesto anche l’obbligo di avere, nelle cariche pubbliche e anche nei Consigli d’amministrazione delle aziende private, una parità di numero tra uomini e donne.
Ma non dovrebbero essere le qualità professionali a contare?
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Detto tra “matusa”, la sua considerazione mi trova pienamente d’accordo in linea di principio:
sul lavoro non dovrebbero esserci valutazioni sul sesso ma sulle capacità professionali: anche se ci sono professioni, lo sappiamo tutti, dove la bella presenza femminile è un valore in più da non sottovalutare.
E sul valore anche solo estetico di una bella signora o signorina potrei argomentare all’infinito. Scriveva James Hillman che “di tutti i peccati il più mortale è l’indifferenza verso la bellezza”. Poi si può discutere su cos’è la bellezza. Ma andremmo lontano.
Per rimanere sul tema, certe norme cui lei accenna hanno la stessa matrice (al contrario) di quelle dei talebani.
Ci deve essere il giusto mezzo: capacità, intelligenza, cultura, specializzazione etc. Devono valere più del sesso. Specialmente oggi visto che i sessi riconosciuti sono ben più di due.
Per sua consolazione, le riferiamo una notizia: in California è stata impugnata la norma di legge sull’obbligo di parità di numero tra uomini e donne nei consigli elettivi. Vedremo come andrà a finire…